Ideali e ideologie: due prospettive molto diverse

di MELISSA BONAFIGLIA

L’ideologia, spesso, viene confusa con l’ideale; una confusione letale che induce all’assopimento dei valori e dei principi, qualora ci si riferisca agli errori pratici di chi ha agito in nome di un’ideologia, infangando la reputazione dell’ideale alla base, una confusione letale che induce alla sfiducia verso orientamenti politici e religiosi.

I concetti d’ideologia e d’ideale sono fili conduttori di processi storici spesso fraintesi, generalizzati, denigrati. Si tende a giudicare un orientamento politico o religioso prestando maggiore attenzione non all’ideale da cui nasce, ma alla sua degenerazione nell’ideologia. La storia, ovvero la chiave di lettura di accadimenti che nel presente sono apparentemente generati dal caso, ma che risultano da una concatenazione di cause ed effetti piuttosto logica, analizzata a ritroso dimostra come dietro ogni discutibile estremismo vi sia un incantevole (o quasi) ideale. Successivamente alla seconda guerra mondiale si è cercato di correre ai ripari dagli errori degli estremismi, trovando rifugio in una democrazia formalmente nata da un’ideale, praticamente indirizzata a divenire altro; già Nilde Iotti affermava: «Ho l’impressione che nei paesi di nuova democrazia o di socialismo reale fossero stati predicati non degli ideali, ma un’ideologia, un insieme di tanti dogmi». L’impressione è che anche in democrazia non si pensi autonomamente, ma il pensiero sia ingessato nei confini di ciò che s’impone.
Etimologicamente, il termine ideale deriva dal greco e significa “vedere”: è un concetto personale, autentico, privato. Ideologia o ideologismo è invece un complesso e una combinazione d’idee, più spesso di dogmi, dettati, imposti.
L’intelletto ingessato in dogmi è persuaso, non capisce, non indaga, ma giudica i fenomeni sociali con stereotipi e luoghi comuni: un automa disposto a procedere verso il baratro se ciò gli viene prescritto, che è lo scopo delle dittature e degli imperialismi. “La banalità del male” di Arendt descrive il fenomeno dell’incanalamento di un’ideologia: i nazisti uccidevano dietro comando di un governo nazista, nato con l’ideale di supremazia nazionale e degenerato nell’ideologia della repressione. Uomini prigionieri di loro stessi. Enzo Biagi, dopo aver intervistato Reder, Kappler e Kesselring commentò: «Nel loro racconto non c’era passione né dolore, quei morti erano solo il risultato di errori strategici, di valutazioni politiche sbagliate, soldati tedeschi ubbidienti al loro Führer fino all’ultimo giorno».
L’esaltazione dottrinale di un’idea la priva del suo stesso contenuto, la inquina, la esaspera, fino a trasformarla nell’opposto e ottenere l’effetto contrario nell’ideologia.
Il comunismo e il fascismo nascono dalla necessità di delineare un’identità collettiva: rispettivamente dal concetto di “comune”, ovvero “ciò che appartiene a tutti” e dal concetto di “fascio” che pur nell’età romana era concepito come “simbolo di unione dei cittadini”. Dalla combinazione di tali idee con l’economia, la politica, la religione e dalla loro imposizione sono nate, ad esempio, da un lato la dittatura stalinista, dall’altro la dittatura nazi-fascista. Ciò non implica che gli ideali alla base fossero portatori di un’implicita degenerazione, ma che i detentori del potere ne abbiano abusato per legittimare i propri obiettivi.
Del resto, analoga differenza la riscontra Viroli nei concetti di patriottismo e nazionalismo affermando in “Per amore della patria” che il nazionalismo è stato «elaborato per difendere e rafforzare l’unità e l’omogeneità etnica, linguistica e culturale di un popolo», il patriottismo «è stato usato nei secoli per rafforzare o suscitare l’amore per le istituzioni politiche e il modo di vita che sostengono la libertà comune di un popolo, in una parola, la repubblica».
Il rischio è che perfino l’attuale democrazia, nata come antidoto all’estremismo, possa degenerare in ideologia. La realtà è che sottese alla democrazia pendono movimenti e formazioni che ancora mimetizzano l’ideologia con l’ideale.
La democrazia diretta nasce nella Grecia periclea, che partendo dall’ideale di potere del popolo incentivò la partecipazione popolare dei cittadini alla vita pubblica; lo stesso Pericle, nel discorso agli Ateniesi del 461 a.C., disse: «non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo». Una democrazia demagogica al giorno d’oggi, libertaria se contestualizzata in quel periodo storico e comparata ad altri regimi governativi.
Le nuove democrazie aspirano a divenire regime delle masse, cedono il passo all’ideologia della rivoluzione incondizionata e generalizzante, accentuando i particolarismi e la frammentazione sociale, lasciando poco spazio alla riflessione. Emblematica è la notizia di un militante di CasaPound, che nella frenesia dello scontro ha aggredito per errore un militante dello stesso orientamento partitico: anche le formazioni sociali, per contrastare l’ideologia statale, hanno finito per incanalarsi in altre ideologie, prigioniere per la seconda volta.
Barricate fisiche e ideologiche producono effetti collaterali: la chiusura al mondo e alle sfaccettature dei singoli casi assorbono la totalità in un’unica direzione, in un’unica linea reputata la migliore e per questo legittimamente imponibile. L’ideale include, l’ideologia esclude. L’ideale comunista di Enrico Berlinguer era disposto al “compromesso storico”: l’inclusione di forze politiche di diversa provenienza per il raggiungimento di un comune obiettivo. L’ideologia fascista era intenzionata a confinare gli antifascisti (Regio Decreto 1848/26) escludendoli dalla società.
Senza approdare a conclusioni affrettate circa l’inutilità degli ideali nella società attuale e muovendo dal “gnoti sauton” greco, si potrebbero scoprire gli ideali puri, innocui, essenziali.
Per l’ideale di giustizia Falcone e Borsellino si sono sacrificati, per l’ideologia della giustizia lo Stato ha agito in modi discutibili o non ha agito. Cucchi, Giuliani, Rasman, Boccaletti, Aldrovandi, Scardella, Bianzino ed altri: “la legge è uguale per tutti”?
L’ideale di bellezza ha partorito il “David” di Michelangelo, la “Nascita di Venere” di Botticelli; l’ideale socialista ha permesso a Pietro Nenni di dire «l’obiettivo del socialismo è di portare avanti chi sta indietro» o a Gramsci di dire «Vivo, sono partigiano», l’ideale cristiano insegna ad amare la vita e l’uomo, l’ideale buddista insegna la libertà e la liberazione.
Da ogni ideologia è possibile risalire ad un ideale, che rispecchia la più intima convinzione individuale: ciascuno sceglie di abbracciare un ideale in base alle proprie esperienze, la propria attitudine, il proprio carattere. Ogni idea è degna di rispetto se frutto di una libera riflessione individuale e non di una coercitiva imposizione sociale. La storia fornisce esempi negativi circa l’ideologia, ma l’ideale ha un curriculum irreprensibile.
L’ideologia è carnefice della bellezza degli ideali: come un contadino, il quale accorgendosi della fertilità della terra vi coltiva tante piantagioni diverse, non rispettando i tempi di riposo: potrà produrre abbondanti frutti inizialmente, ma poi quel terreno diventerà infertile e abbandonato. Parimenti si abbandona un ideale quando l’ideologia lo rende inattendibile.
Platone nella “Repubblica” discorre dell’ideologia come di un concetto impuro, triviale, strumentale, e Marx lo definisce come un paravento culturale che serve a legittimare i detentori del potere, un’etichetta dietro cui si celano obiettivi differenti dall’idea cardine: il regime stalinista non è stata l’applicazione pratica del comunismo bensì dittatura, così come l’ISIS non è l’esplicazione dell’islamismo ma terrorismo.
Le confusioni linguistiche sono artefici di confusioni mentali. Gli ideali trascendono l’ideologia, sono la sana esplicazione della propria personalità, senza catene, senza confini, le colonne portanti su cui edificare il tempio della vita. L’ideologia è ciò che ci s’impone e ciò a cui crediamo non liberamente ma per coercizione mentale. Imparare a discernere significa iniziare a decidere autonomamente.

Melissa Bonafiglia
(da www.liberopensiero.eu)

LA DIALETTICA DEL LIBERALSOCIALISMO

Il liberalsocialismo, che oggi chiamiamo radicalsocialismo per evidenziarne la dirompente valenza rivoluzionaria rispetto alla melassa “riformista” (centrista e moderata) che concilia staticamente – e annacqua – i nobili ideali che lo compongono, è la sintesi delle due migliori radici della sinistra: il filone del liberalismo sociale e progressista e quello del socialismo liberale o libertario. Nel valore della libertà eguale, che sintetizza dialetticamente i concetti di eguaglianza e differenza, va individuato il nucleo teorico e pratico del radicalsocialismo: è l’ideale su cui unire e rifondare la sinistra del ventunesimo secolo. L’incontro e la fusione dei diritti individuali con la giustizia sociale mette fine alla secolare diatriba tra i sostenitori della “libertà” (i liberali) e quelli dell’“uguaglianza” (i socialisti). Come la storia ha dimostrato, senza libertà l’idea egualitaria diventa omologazione, appiattimento, oppressione e totalitarismo; ma senza eguaglianza i principi liberali si trasformano in una malcelata difesa delle élites dominanti e dei loro inaccettabili privilegi. Continua a leggere

Francesco Saverio Merlino: socialismo liberale o libertario?

di Giampiero Landi

Francesco Saverio Merlino (1856-1930) è una delle figure più critiche e stimolanti nella storia del movimento e del pensiero libertario. Militante anarchico in gioventù, maturò successivamente una critica dell’anarchismo che lo portò all’abbandono del movimento. Avvicinatosi ai filoni riformisti, non vi si identificò mantenendo una sua forte autonomia di pensiero e di giudizio. Può legittimamente essere considerato il precursore di quel «socialismo liberale» sviluppato poi da Carlo Rosselli. Continua a leggere

LAVORO di cittadinanza!

Bisognerà aspettare la… reincarnazione del presidente Roosevelt, dell’economista J.M. Keynes o del premier svedese Olof Palme con tutta la vecchia socialdemocrazia del Welfare State per “concepire” anche in Italia, finalmente, un New Deal basato sul LAVORO di cittadinanza?

Molto più controllabile e verificabile del reddito, un lavoro pubblico part-time finanziato dallo Stato e gestito dai comuni porterebbe molti vantaggi a livello nazionale e locale: un grande aiuto all’occupazione e al reddito (con aumento della domanda e delle entrate fiscali, a compensazione della spesa pubblica necessaria) e ovviamente tutti i benefici diretti in termini di servizi necessari per i cittadini e le comunità locali: aiuto ai tanti bisogni degli anziani, servizi ricreativi e scolastici per i bambini (a cominciare dalle ripetizioni, azzerando i relativi costi per le famiglie), cura del verde pubblico, infrastrutture, trasporti e contributi di ogni tipo al bene comune.

E già, ma in Italia la destra è liberista e la sinistra… boh.

(Valentina Pennacchini)

Libertà individuale e giustizia sociale

Sarà impossibile ricostruire la sinistra in Italia senza partire dalle idee e dalla “fusione” di tre grandi maestri come Piero Gobetti, Carlo Rosselli e Antonio Gramsci, unendo nella maniera più completa e radicale la libertà individuale e la giustizia sociale. Non esiste infatti società liberata senza l’emancipazione della persona, né autentica libertà individuale senza una liberazione sociale nel senso della giustizia e dell’equità. Non possono esistere diritti – né civili né sociali – senza i doveri legati all’appartenenza ad una comunità; ma nemmeno doveri giuridici senza la piena garanzia dei diritti individuali.
Sembrano verità evidenti, eppure nella storia sono stati pesantemente scissi e separati, dando vita alle dogmatiche antinomie tra liberismo e “comunismo” nelle loro versioni estreme. Solo il liberalsocialismo può unire e integrare queste false opposizioni in una feconda dialettica politica; ma le tradizioni liberale progressista e socialista libertaria sono state emarginate dalle ideologie più sterili e antitetiche. È tempo di tornare all’abc di quella democrazia sociale teorizzata sia in Europa che negli Stati Uniti dalle menti più aperte del Novecento: Bertrand Russell, Jean-Paul Sartre, J.M.Keynes, Herbert Marcuse, John Dewey, Karl Popper, John Rawls, oltre ai liberalsocialisti italiani come Gobetti, Rosselli, Basso e tanti altri. Che gli innumerevoli errori del passato, e l’attuale deserto politico a sinistra, servano almeno a qualcosa!

Il nuovo Patto-capestro di Stabilità imposto dai vassalli di Wall Street

di LEONARDO MARZORATI

Mentre l’opinione pubblica era distratta dal delicato tema della violenza di genere e da spacconate diversive sbraitate da esponenti vari dell’attuale maggioranza (Ignazio La Russa, Francesco Lollobrigida, Gennaro Sangiuliano, ecc.), il 6 novembre scorso il cda di TIM ha accettato l’offerta da 22 milioni di euro del fondo speculativo statunitense KKR per la vendita della sua rete fissa. La rete fissa della vecchia Telecom passa in mani straniere. Non in buone mani, ma in bocca agli squali di Wall Street. La nostra rete telefonica è l’ennesimo caso di gioiello di famiglia venduto. Continua a leggere

Fragheto, una strage “dimenticata”

di GIANCARLO IACCHINI
Quando lavoravo alla redazione pesarese del Messaggero, il 6 aprile di ogni anno chiedevo (e ottenevo) di fare un articolo per ricordare l’eccidio nazifascista di Fragheto, la sperduta frazione di Casteldelci, tra Marche e Romagna, dove il 7 aprile del ’44 i soldati tedeschi, guidati dai fascisti locali, trucidarono senza pietà 30 persone (donne, vecchi e bambini) "colpevoli" di aver aiutato e ospitato un partigiano ferito…

Il rapporto dei carabinieri su quella strage insensata fu nascosto (insieme ad altri 700 fascicoli) nel famigerato "armadio della vergogna" – chiuso con catene e lucchetto e con le ante girate verso il muro – nello scantinato di un palazzo di Roma, e ritrovato per puro caso da alcuni muratori solo nel 1994 (cinquant’anni dopo!).

Un magistrato della Procura Militare di La Spezia, Marco De Paolis, cominciò da allora un’incredibile, pazientissima ricerca storica e giudiziaria per risalire ai colpevoli (nomi e cognomi) di quelle centinaia di eccidi considerati "minori" (rispetto a Marzabotto, Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema) ed io lo citavo sempre nei miei brevi articoli. Finché un anno, stufo di scrivere sempre le stesse cose, mi feci coraggio e gli telefonai, e per prima cosa gli dissi: Lei per me è un EROE!… «Grazie di cuore – mi rispose con una modestia per me commovente – non sono un eroe… però… finalmente un giornalista che si interessa del lavoro enorme che mi sono sobbarcato, con un paio di collaboratori soltanto e senza aiuti di alcun tipo!». Allora La ringrazio per non aver ancora mollato… ma perché lo fa? «Perché la giustizia deve fare il suo corso, anche dopo 60 o 70 anni, e gli INDIVIDUI che hanno fatto questo, sparando a sangue freddo su donne e bambini inermi, DEVONO essere individuati e PAGARE, anche simbolicamente. Non è che la "guerra" giustifica tutto!». Chi ha massacrato a Fragheto? «Non le SS, non la Gestapo, ma un reparto della Wehrmacht: soldati "normali", giovani… guidati da 3 ufficiali ai cui nomi sono finalmente arrivato. E adesso saranno processati». Sono ancora vivi quindi… «Sì. Due di loro hanno 90 anni e quello con le maggiori colpe nell’eccidio addirittura 100… Capisco le perplessità, ma la giustizia insegna che le responsabilità sono individuali, ed è moralmente GIUSTO che questi criminali subiscano almeno un processo».

L’anno dopo venni a sapere che il governo (Prodi, per la cronaca) aveva deciso di chiudere le procure militari in quanto "anacronistiche", compresa quella di La Spezia. Richiamai il magistrato: dottor De Paolis, io non capisco… ma i politici lo sanno che razza di lavoro Lei sta ancora svolgendo? «Bella domanda, amico mio – mi rispose amareggiato – Me la sono posta anch’io; e posso dirle che il suo stupore è anche il mio!».

Il processo comunque andò avanti (a Verona): il criminale centenario morì pochi giorni prima della sentenza, mentre i due novantenni furono… assolti per insufficienza di prove.

Quanto a me, a parte gli articoli (non firmati) sulla vicenda di mio padre che salvò Churchill a Saltara nell’agosto di quello stesso disgraziato 1944, non mi sono mai sentito così dentro la notizia di cui scrivevo, come se solo io e quel magistrato – sospesi sulla storia più tragica di questo Paese – conoscessimo il valore di una cosa così importante e tuttavia così sconosciuta. Una sensazione di sconcerto e amarezza che sento ancora oggi quando penso a Fragheto.

Gli eredi del… Popolo (d’Italia)

di LEONARDO MARZORATI
Il quotidiano La Repubblica e diversi esponenti del Partito Democratico da quando è nato il governo Meloni additano l’attuale maggioranza a qualcosa di associabile al fascismo. Nessuno di loro dice che Giorgia Meloni ha istituito o sta per istituire un regime fascista, ma si fa della retorica dell’antifascismo, con la consapevolezza che il carattere afascista della premier e di tanti suoi fedelissimi non permetterà loro di dichiararsi apertamente antifascisti. Ogni sparata provocatoria di qualche esponente della maggioranza si rivela un’occasione per i giornalisti di Repubblica o per gli esponenti dem di gridare al fascismo. Continua a leggere

86 anni fa, l’assassinio dei fratelli Rosselli

86 anni fa, il 9 giugno del 1937, i sicari del gruppo fascista francese della Cagoule, assoldati dal regime mussoliniano, assassinavano in una strada di campagna che conduceva al piccolo borgo normanno di Bagnoles-de-l’Orne i fratelli Carlo e Nello Rosselli. I due stavano rientrando in automobile da una gita nella vicina cittadina di Alençon. Una vettura, apparentemente guasta, li attendeva in mezzo alla strada, in un tratto di bosco poco trafficato. I due fratelli si fermarono per capire di che si trattasse. Ma era un agguato. Un’altra auto sopraggiunse alle loro spalle. E i due Rosselli vennero trucidati. Continua a leggere

Le sparate fasciste per coprire gli schiaffoni europei

di Leonardo Marzorati

Le gravi falsità pronunciate dal presidente del Senato Ignazio La Russa sull’attentato di via Rasella sono l’ennesimo episodio di dichiarazioni provocatorie per distogliere l’attenzione dalle difficoltà del governo. Diversi esponenti di Fratelli d’Italia si sono resi protagonisti di esternazioni che colpiscono la Resistenza e la guerra di Liberazione antifascista, eventi storici a cui devono la libertà di sparare cazzate. Magari per nascondere le sconfitte del governo Meloni. I soldi europei per la costruzione del nuovo stadio Artemio Franchi di Firenze e del Bosco dello Sport di Venezia potrebbero non arrivare. Si parla di 19,5 miliardi di euro inseriti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Mario Draghi è un grande banchiere e come tale sa come spillare denaro, anche dai burocrati di Bruxelles. Dall’Unione Europea Draghi riusciva a ottenere di più rispetto a quello che riesce portare a casa Giorgia Meloni. La fiducia di figure come Ursula Von der Leyen verso l’ex presidente della Bce era altissima. Con il governo Draghi si era riusciti a ottenere, all’interno del PNRR, anche questo importante finanziamento per realizzare i due dispendiosi impianti sportivi.

Ora la Ue, per voce del commissario europeo all’Ambiente Virginijus Sinkevicius, dice che i fondi per i due stadi l’Italia li deve trovare altrove. Questa posizione ricalca quelle di diversi governi centro e nord-europei, per i quali l’Italia ha avuto “troppo” dal PNRR. Sui giornali tedeschi ogni giorno viene ricordato che è l’Italia il Paese che riceverà più finanziamenti dal Piano, ricordando che sì, loro sono stati quelli che hanno subito più perdite, umane ed economiche, dal Covid, ma non per questo si devono ignorare gli altri. Come dire: “cari italiani, va bene tutto, ma non esagerate”.

L’attuale esecutivo non può urlare allo scandalo su questa questione. Sarebbe ammettere che, nonostante un governo che si dichiara fieramente “sovranista”, l’Italia vive ancora sotto il ricatto della Ue. In concreto vorrebbe dire che Draghi riusciva a “portare a casa” di più da Bruxelles rispetto alla Meloni. E per il ceto medio italiano contano molto di più i denari contanti delle belle parole.

Le sparate dal sapore fascista dei vari esponenti di Fratelli d’Italia portano una stampa remissiva a occuparsi quasi esclusivamente di quello, distogliendo lo sguardo da questioni concrete che toccano la vita di parecchie persone, a partire da coloro che contribuiranno con il proprio lavoro a realizzare gli impianti di Firenze e Venezia. Il partito della Meloni arriva addirittura a utilizzare la seconda carica dello Stato in questa vergognosa campagna di distrazione di massa. La sparata del presidente del Senato è un fatto gravissimo che offende la Patria (quella tanto sbandierata dagli esponenti di Fratelli d’Italia). Le istituzioni democratiche italiane sono chiamate a intervenire severamente.

Il Partito Democratico contesta le parole di La Russa e di altri suoi camerati, facendo leva sull’antifascismo del proprio elettorato. Risposta obbligata, e così evita di parlare dei soldi in meno che arriveranno al nostro Paese dal PNRR. Sarebbe un argomento perfetto per smascherare la narrazione della Meloni, ma i dem preferiscono parlare d’altro. Il perché è semplice. Il Pd è complice del sistema finanziario di Bruxelles e vuole mantenersi un suo strenuo difensore. La propaganda “eurista” che ostenta un’Europa unita dai valori democratici e solidali prosegue in casa Pd, nonostante questo episodio dimostri il contrario, anche dopo l’elezione della nuova segretaria Elly Schlein.

Il caso dei soldi promessi e poi ritirati all’Italia da parte della Commissione Ue dimostra che in Europa c’è qualcosa che non va. In Europa ognuno guarda ai propri interessi e si sfruttano i cambi di governi degli altri Paesi per reclamare una fetta di torta più larga. Non c’è più lo stimato banchiere al governo, ma la fascista romana. Quindi i “trattamenti di favore sono finiti”. Almeno fino a giugno 2024, quando la Commissione Europea potrebbe non essere più guidata da una coalizione Ursula (socialisti, liberali, popolari) ma da una maggioranza popolar-populista.