di GIANCARLO IACCHINI ♦
Iniziamo questo ritratto di su Mario Capanna proprio da un messaggio da lui inviato a MRS: «Io sono pienamente d’accordo con voi! Il metodo che praticate, come Movimento RadicalSocialista, è quello giusto. Perché? Perché il nostro compito attuale, come laboratorio della sinistra, è essenzialmente quello di elaborare idee. Voi fate parte di questo diffuso reticolo di inquietudine e di opposizione. La gente comincia a re-interrogarsi, non fidandosi di quello che racconta il potere. È solo grazie a movimenti spontanei dal basso come il vostro se siamo potenzialmente nelle condizioni di immaginare qualche momento di riscossa, perché è impossibile pensare che l’alternativa venga dal ceto politico ufficiale. Lo dico con molta nettezza: siamo di fronte a un bivio. O ripartono i movimenti di massa, e cioè questa alternativa di gente vera, dal basso; oppure la svolta a destra durerà molto a lungo, perché è nel ventre dei popoli europei, compreso quello italiano. Ecco perché, in questo vostro ripartire dalle idee e dai problemi veri e reali, siete nel giusto.
Anch’io ho seguito questa strada: per esempio nella battaglia sugli Ogm. Ricorderete la grande consultazione per uno sviluppo libero da Ogm: abbiamo ottenuto 3 milioni e mezzo di “voti firmati”, cioè di gente che ci ha messo la faccia, lasciando indirizzo, telefono, e-mail. A queste persone non abbiamo chiesto se erano marxiste, cristiane, musulmane o buddiste. È proprio vero che se non si parte più dagli steccati ideologici o dalla dogmatizzazione dei vecchi maestri (che però mica vanno buttati del tutto, perché non si butta il bambino con l’acqua sporca del bagno!); ma se si parte dai problemi più concreti e drammatici della nostra vita, allora la gente capisce, risponde, partecipa.
Facciamo l’esempio più centrale che ci sia: la globalizzazione. Se la gente viene a conoscenza di pochi dati essenziali, per esempio quello che dice (fonte ONU) che il 2% dell’umanità possiede circa la metà delle ricchezze del pianeta, e che il 10% arriva a possederne l’85%, allora si capisce senza bisogno di ideologie che questa globalizzazione non va bene, che è unipolare, unilaterale e prevaricatrice. E che dev’essere rimpiazzata da una globalizzazione autentica, fondata sulla multiproduttività, sulla multiculturalità, sulla democrazia, sulla convivenza pacifica tra le persone ed i popoli, sull’equità e le pari opportunità. Tu condividi questo? Bene, allora sei dei nostri: camminiamo insieme per cambiare il mondo!».
Facciamo un passo indietro lungo più di 30 anni… «Per la rifondazione della sinistra»: sembrerebbe uno slogan azzeccatissimo per l’attuale situazione politica, ma è invece il “titolo” che campeggiava al congresso del 1988 di Democrazia Proletaria, accompagnato da altre parole d’ordine come «il realismo dell’utopia» e «un movimento politico e sociale per l’alternativa». Di dieci anni prima era un altro celebre motto congressuale: «La democrazia degli operai, dei giovani, delle donne per cambiare la società». DP fu una ventata d’aria fresca nella livida Italia degli “anni di piombo”, ma anche nell’Italia viva e combattiva, “che resiste” e “che non ha paura”, come cantava Francesco De Gregori pensando alle stragi nere e al terrorismo. Una ventata di radicalità sessantottina che come diceva il suo leader Mario Capanna era «l’esatto contrario del partito armato»; era l’opposizione aperta, alla luce del sole, che invadeva le piazze portandoci dentro il meglio dell’impegno politico scaturito dalla contestazione giovanile.
E sotto la guida di colui che aveva animato il Sessantotto milanese, l’ex studente della Cattolica poi espulso e passato alla Statale, Democrazia Proletaria fu il partito del comunismo radicale e libertario ma anche dell’ecologia e delle lotte ambientaliste; del femminismo e del pacifismo; del disarmo unilaterale, del «fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia», del no all’energia nucleare, della liberalizzazione delle droghe leggere, dell’alternativa non dogmatica al capitalismo, del rifiuto dello stalinismo, dello Stato democratizzato “dal basso” secondo il modello della Comune parigina, del sindacalismo di base, del federalismo “proletario” e della valorizzazione delle minoranze linguistiche. Fu «l’agile mangusta» in lotta col serpente democristiano, «il piccolo partito delle grandi ragioni», del marxismo creativo abbinato talvolta al cristianesimo progressista e alla “teologia della liberazione” (si racconta che lo stesso Capanna nutrisse un tale rispetto per la filosofia cristiana da provare a convincere la sua ragazza addirittura per iscritto, durante le occupazioni del Sessantotto, che un eventuale rapporto sessuale prematrimoniale non sarebbe stato in contrasto con la dottrina di san Tommaso d’Aquino…).
Durò più o meno 15 anni l’esperimento “demoproletario”, con un record di 10.000 iscritti nell’88 (quadruplicati nel giro di 10 anni): dalla fondazione nel ’75 come movimento e cartello elettorale (prese l’1,5% dei voti alle politiche del 1976, quelle del mancato sorpasso del Pci sulla Dc), alla trasformazione in partito il 13 aprile del ’78, fino all’8° Congresso del 1991 che (il 9 giugno) ne decretò lo scioglimento e la confluenza nel progetto di Rifondazione comunista. Allora il partito era guidato da Giovanni Russo Spena, ma lo “scomodo” Capanna se n’era già andato due anni prima per andare a fare la lista “arcobaleno” coi Verdi più alternativi.
E l’impegno ecologista era diventato veramente centrale nella visione di Mario Capanna. Un giornale conservatore, qualche anno fa, non mancò di ironizzare sull’ex capo del Movimento Studentesco, che mentre nel ’68 lanciava pomodori (ma in realtà erano uova marce…) agli invitati vip alla prima della Scala, adesso – quarant’anni dopo – i pomodori li mette nei barattoli per farci la conserva, nel podere di due ettari al confine tra Umbria e Toscana dove si è ritirato per fare il contadino (e lo scrittore), dopo essere stato deputato, parlamentare europeo e consigliere comunale e regionale. «Un contadino speciale che la rivoluzione l’ha messa sottovuoto», infieriva il cronista, ma Capanna, con gli stivali ai piedi e la vanga in mano, non raccolse la provocazione: «Nei barattoli non ci metto solo pomodori, ma anche zucchine, melanzane, peperoni, funghi, miele (ho 3 alveari, più alberi da frutta e duecento ulivi che danno un olio eccezionale) ed altro ben di Dio»; anzi… bio, perché «qui è tutto rigorosamente biologico».
A zappare, se vogliamo, avrebbero dovuto andarci altri politici, non lui! «Ma è stata una scelta di vita fare il contadino. Mi sveglio la mattina presto e sgobbo sui campi fino a sera: quando vado a letto sono distrutto». Capanna ha abbandonato la politica (almeno quella con la “p” minuscola) ma non l’impegno sociale: è infatti presidente del Consiglio dei Diritti Genetici, un’associazione scientifica impegnata nello studio delle biotecnologie e del loro impatto ambientale. «Ho scoperto una nuova frontiera della politica: l’ingegneria genetica, la lotta gli organismi geneticamente modificati (Ogm). Un’esperienza entusiasmante: abbiamo raccolto in questo Consiglio studiosi di altissimo livello per reclamare più scienza e più ricerca, e per evitare che le cinque multinazionali del settore assoggettino, attraverso il monopolio dei brevetti, le biotecnologie alle regole del profitto. E agli Ogm bisogna comunque sforzarsi di porre dei paletti. Per la prima volta nella storia dell’uomo, infatti, la tecnica può innestare geni di specie diverse. In tempi brevissimi si possono sconvolgere equilibri che la natura ha impiegato milioni di anni a creare».
Dalla… terra alla “luna”: lo invitano dovunque, da un lato a parlare dell’Utopia, del Tutto & Subito, dell’Immaginazione al potere, insomma del “mitico” Sessantotto – a cui ha dedicato libri in occasione di ogni anniversario: Formidabili quegli anni (1988), Lettera a mio figlio sul Sessantotto (1998) e Il Sessantotto al futuro (2008), Noi tutti (2018) – e dall’altro, però, a lanciare allarmi molto realistici sui rischi della modificazione genetica, perché il Capanna di oggi vuol mantenere più che mai i piedi per… terra. «È una balla colossale dire che le multinazionali, con gli Ogm, aiutano l’agricoltura dei paesi poveri. È vero il contrario: costringono i contadini a comprare sia il mais geneticamente modificato, reso resistente agli erbicidi, sia gli erbicidi ai quali quel mais è stato reso resistente; e così i paesi poveri si indebitano due volte. L’India ha accettato la coltivazione del cotone geneticamente modificato sulla base di enormi pressioni americane. I governi del terzo mondo sono ricattati: se non accettano perdono gli aiuti per lo sviluppo. Chiaro: se tu fossi una delle cinque multinazionali del settore, che hanno un potere immenso, che gestiscono il 98% dei brevetti di trasferimento dei geni, che hanno un giro di affari di miliardi di dollari, cosa diresti? Esattamente quella panzana lì. La realtà è che il 70% dei cittadini europei non ne vuole sapere di cibi transgenici. Le biotecnologie non possono rimanere assoggettate alle regole del profitto. Si fanno ricerche sulle quali si pone il monopolio del brevetto. Uno scandalo: i geni sono patrimonio dell’umanità. E’ come brevettare l’acqua o l’aria. Ma scattano profitti colossali».
Per Capanna quella degli Ogm non è “una” questione a cui stranamente abbia deciso un bel giorno di dedicarsi, ma “la” questione dei nostri tempi: «Qui siamo difronte ad uno dei pericoli più gravi per il presente e l’avvenire dell’umanità. Siamo ad un passo dal prefabbricare esseri viventi con determinate caratteristiche. È una svolta inedita nella storia dell’evoluzione umana, della scienza, della ricerca, della tecnica. Stanno modificando i dati basilari dell’esistenza. Vanno ad alterare equilibri delicatissimi. La legislazione li ha messi fuorilegge ma gli Ogm arrivano ugualmente, mischiati a tanti cibi. I dolciumi, i gelati, le merendine dei bambini contengono lecitina di soia nella quale si sono trovate tracce di geni modificati. Ormai è un miscuglio generale».
C’è qualche aspetto positivo nell’ingegneria genetica? «Certo, ma bisogna comportarsi in maniera diversa. Si cerca, si scopre una combinazione di geni utile, si esulta perché è una grande scoperta, poi, senza fretta per il brevetto, senza fretta di intascare milioni di dollari, si comunica al mondo che c’è questa scoperta, la si sperimenta fino a quando si ha la sicurezza che non produca effetti negativi e solo allora si passa all’applicazione. E ovviamente non la si brevetta, ma la si rende disponibile a tutto il genere umano».
E se è vero che, come insiste l’ex leader di DP, «quello delle biotecnologie, per le implicazioni che ne derivano in tutti i campi, è uno dei più grandi problemi che investe l’umanità presente e futura, insieme a quello della guerra e della pace», allora viene da chiedersi cosa stia facendo la politica per affrontarlo: «Al momento davvero poco – risponde Capanna – Tutti gli schieramenti, dal centrodestra al centrosinistra, sostanzialmente tacciono, e questo è inaccettabile: ma la politica oggi è ridotta a finzione, prescinde completamente dalla realtà, mentre dovrebbe reimpossessarsi delle grandi e basilari tematiche che coinvolgono l’uomo, il modo di essere e di vivere su questo pianeta».
Una volta nei cortei (non ancora quelli del giovane Capanna) si chiedeva “pane e lavoro”. Poi l’importanza del pane è sembrata declinare, col boom del consumismo e dei dietologi, ma adesso che la minaccia Ogm riguarda persino il grano, in nome della… grana, allora le… grane diventano molto serie; e scherzando appunto con le parole, nonché ancorandole alla loro sana e genuina etimologia, Capanna scrive una lunga e accorata introduzione al libro “Grano o grane”, che illustra la campagna anti-Ogm riguardante il frumento.
Anche in questo modo si può provare a rimettere “sui piedi” quel mondo rovesciato che il buon Marx aveva solo cominciato a descrivere. E a oltre mezzo secolo dal Sessantotto, il sessantottino ormai settantottenne non ha ancora nessuna intenzione di mollare la Politica con la P maiuscola: «È proprio da qui che bisogna ricominciare. Oggi la politica si è ridotta a un ruolo ancillare. Mentre la destra si occupa di leggi ad personam, la sinistra ha rinunciato a un vero progetto di cambiamento sociale in grado di camminare su solide gambe. A invertire la tendenza potrà essere solo il ritorno di grandi e durevoli movimenti di massa». E allargando lo sguardo all’intero pianeta, si vede che «quattro quinti dell’umanità sono condannati alla fame e alla disperazione in base a precisi vincoli economici e finanziari; e allora come fai a non indignarti e a non impegnarti? Chi non si impegna commette il crimine più grande!». La fame, e poi la guerra: «Le contraddizioni del mondo stanno giungendo a un punto di non ritorno: la guerra ha alimentato e sta continuando ad alimentare il terrorismo (ma non doveva debellarlo?). Poi c’è l’inquinamento (chi oggi fa la guerra si rifiuta di applicare gli accordi di Kyoto) e l’iniqua distribuzione della ricchezza (a fronte di un quarto dell’umanità che vive nell’opulenza, i tre quarti vivono nella povertà). L’Onu è del tutto incapace di far fronte a questi problemi. Altro che nazioni unite, ad essere divise sono proprio le nazioni».
A salvare l’uomo, più che il “progresso” economico, può essere il progresso della coscienza: «Auspico una crescita della consapevolezza umana che giunga a considerare anche la guerra un tabù, come in altri tempi l’incesto e il cannibalismo». Da qui partirà l’“uomo nuovo” auspicato dai rivoluzionari ottocenteschi e novecenteschi. E Mario Capanna ripone sui giovani le sue maggiori aspettative e il suo afflato pedagogico, ben evidente nei suoi libri (uno degli ultimi si intitola Coscienza globale. Oltre l’irrazionalità moderna) molti dei quali (come il bellissimo Verrò da te) sono basati su lettere o dialoghi tra adolescenti: «I giovani protagonisti sono degli esseri umani che si interrogano e cercano di rispondersi su degli argomenti che potrebbero sovrastarli per la loro complessità. Eppure lo fanno. Oggi i giovani dovrebbero tornare alle grandi utopie, alle grandi idee; dovrebbero ricercarsi di più fra loro e scoprire così le loro grandi possibilità e speranze. Io sono molto fiducioso su quelli che sono i giovani del nostro tempo».
Al fondo dell’impegno di Capanna, c’è il gramsciano ottimismo della volontà, se non della ragione giunta per l’appunto ad una “coscienza globale” finalmente all’altezza delle responsabilità che competono all’essere umano: «Gli uomini hanno delle risorse in sé che sono davvero sorprendenti», e questa fiducia mette ancora più in risalto la miopia e i pesanti limiti delle attuali democrazie, quelle che un tempo il vecchio leader sessantottino avrebbe chiamato “democrazie borghesi”; però anche adesso non scherza: «La caratteristica di tutte le “dittature democratiche” è quella di considerare i cittadini come un insieme di stupidi. In realtà gli uomini non sono affatto stupidi e si aggregano e fanno le rivoluzioni e distruggono le dittature. Si dovrebbe tornare, secondo me, al concetto di “lotta”, un’idea che oggi sembra alquanto sottovalutata».
E siccome serve una proposta politica degna di un’autentica coscienza globale, l’asso nella manica di Capanna è l’idea di un parlamento mondiale: «L’umanità si deve dotare di un’assise, ovvero di un Parlamento Mondiale eletto da tutti i popoli della terra. E questa assise funzionerà in base al principio: ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti. E proprio il futuro della specie umana è una cosa che riguarda tutti». L’Onu non basta, anche perché sono ben altri i veri centri di potere: «Noi oggi siamo in presenza di un Governo Mondiale da nessuno eletto, che però decide il destino dei popoli e della guerra, e lo fa impiegando la guerra come mezzo. Questo vanifica la democrazia. Tutto ciò si configura come un fondamentalismo dall’alto». La vecchia, e mai così attuale, alienazione marxiana si esprime soprattutto in questa globale espropriazione del potere popolare. E a questo proposito Capanna cita Gadamer: «Siamo schiavi pensando di essere padroni». L’uomo contemporaneo è alienato e “dimezzato” dal mondo della tecnologia e da quello dell’informazione, eppure si sente potente come non mai. La “mondofiction”, ovvero la rappresentazione dominante del mondo, gli impedisce di rendersi conto dell’alienazione, di prendere coscienza del rovesciamento. «I moderni schiavi, che si illudono di essere liberi, sono una manna dal cielo per il potere. E in questa “democrazia” svuotata dal profitto, la politica non progetta: esegue (e segue). La violenza e la guerra sono l’altra faccia della dorata miseria quotidiana».
Globalizzando tutto, tranne la coscienza, gli uomini si sono costruiti le sbarre della loro prigione. Solo la “coscienza globale” potrà liberarli, restituendo loro il rapporto concreto con il mondo reale, dove gli esseri viventi sono uniti da relazioni dirette e non mediate dallo scambio delle merci, anziché divisi come pretenderebbe la “coscienza separata”. E ciò riguarda i rapporti interpersonali così come quelli tra i popoli. La coscienza globale è «il passaggio dal confine all’orizzonte».
Un parlamento mondiale, dunque: «Sono le sorti del mondo, all’inizio del terzo millennio, a invocare, richiedere, imporre la realizzazione del principio che ciò che riguarda tutti deve essere deciso da tutti, mentre adesso è deciso da pochi, anzi pochissimi. Anche l’Onu è totalmente in mano a quei pochi, che esercitano il potere di veto. Finora sono state le élites a guidare il mondo. È giunto il momento che i popoli assumano la loro responsabilità planetaria, che irrompano nella storia, se vogliono che prosegua, e che prendano in mano, e decidano, il proprio destino e quello della Terra. Sta qui la necessità di eleggere un parlamento mondiale. Un Parlamento dei popoli e non degli stati: questi sono ormai troppo piccoli per le questioni grandi, e troppo grandi per le questioni piccole, che vanno sempre più decentrate. Un parlamento che rappresenti davvero tutte le genti e perciò tutte le loro specificità, civiltà, tradizioni, che discuta pubblicamente delle maggiori urgenze del Pianeta e decida sulle questioni vitali dell’umanità. Un parlamento che, eletto in base al principio “una testa, un voto”, rappresenti realmente il mondo reale, e possa spianare la strada alla globalizzazione multipolare e multiculturale, democratica e condivisa, in luogo di quella unipolare e iniqua».
La grande politica, nel Capanna di oggi, si unisce però a quella “piccola” ma altrettanto grande dei sentimenti, del dialogo fra le persone, dei rapporti umani, della memoria e perfino della poesia: «Nei miei libri mi pongo da osservatore partecipe dei sentimenti e dei comportamenti delle persone, dei singoli individui, con un nome, un corpo e con i loro sentimenti. Penso che una politica che non si fondi sui rapporti umani sia una politica senz’anima. Anzi la politica che non si basi sull’ascolto e l’osservazione attenta della persona è la politika con la K nell’ultima sillaba (disumanizzante sequestro del potere) che critico fortemente nei miei libri. Viceversa la politica che si basa sull’osservazione attenta e la valorizzazione di quell’immensa ricchezza che ogni singola persona rappresenta, permette l’esistenza di quell’impegno civile, di quell’impegno culturale e di quello spirito critico che sono la più poderosa ricchezza che ognuno di noi può costruire e che vale molto di più di tutti i beni materiali immaginabili».
Con un’ultima avvertenza da ex “movimentista”… extraparlamentare, ma mai così opportuna: «La vera democrazia risiede non nella semplice delega, ma nella partecipazione diretta dei cittadini: nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole. Quindi nella ripresa di grandi movimenti di massa. Io lo dico chiaro: a me inquieta una sinistra che non si preoccupa più di mettere in piedi grandi movimenti di massa per la trasformazione. Quando le idee non camminano sulle gambe delle persone la situazione è pericolosa e anche la sinistra è debole. Quando le idee invece camminano sulle gambe di milioni di persone la situazione è buona e si possono ottenere grandi trasformazioni culturali, sociali e politiche. Ecco, secondo me si deve recuperare questa dimensione della politica che è diversa da quella del Palazzo». E soprattutto averle (o ritrovarle) le idee! «Che è quello che provate a fare voi del Movimento RadicalSocialista, lo so… E fate bene! Anzi credo che sia proprio questa la via giusta. Oggi chi si impegna a produrre nuove idee è un benefattore dell’umanità. C’è solo un appunto che vi faccio [sorride]: mettere anche me tra i “maestri” nel vostro pantheon ideale è un’esagerazione, ma comunque vi ringrazio di cuore!».
Insieme alle sue verdure rigorosamente biologiche, il buon Mario coltiverà anche qualche nostalgia (e noi anche!) ripensando agli anni delle Grandi Speranze rievocate nei suoi libri (e condite magari con parecchie ingenue certezze), ma l’ex giovane contestatore, mezzo secolo dopo, resta ancora e sempre un… “giovane” contestatore, un uomo combattivo e lungimirante che continua come allora a guardare coraggiosamente avanti, un po’ come il suo vecchio mito Che Guevara nel famoso poster. «Andando in giro per l’Italia trovo persone che mi dicono: “Formidabili quegli anni!”… ma io rispondo: va bene, però non bisogna vivere retrovolti. Quegli anni sono stati formidabili proprio perché ci hanno insegnato a guardare e capire meglio il futuro». Il Capanna “contadino” è ripartito dalla… terra, ma lottando sempre per salvare la… Terra. L’immaginazione vuole ancora andare al potere. E l’utopia non è morta.