di GIANCARLO IACCHINI ♦
Dovremmo fare come il comandante partigiano “Maurizio”, noi liberalsocialisti del ventunesimo secolo. Continuare a fare, anzi ricominciare a fare con rinnovato vigore quel che ci ha insegnato Ferruccio Parri (1890-1981): una resistenza politica e morale contro il fascismo sempre risorgente, come potere autoritario ma anche massificazione conformistica entrambi capaci di opprimere le libertà individuali; contro il degrado affaristico e privo di ideali della politica attuale; contro la crescente disumanizzazione della società capitalistica; contro il nichilismo in cui sfocia il volgare materialismo borghese (dopo tanti anatemi lanciati verso il materialismo umanistico di Marx); contro l’immoralità della morale clericale tuttora imperante nella sua secolare ipocrisia. Per quella “rivoluzione democratica” che Parri invocava, ma che non c’è mai stata nel nostro paese; per quel rigore morale e afflato ideale che politici come lui, come Riccardo Lombardi, come Sandro Pertini, come Enrico Berlinguer sembrano aver portato via con sé, lasciando agli ultimi decenni di storia italiana l’avvilente teatrino di una politica “piccola” e meschina.
E dovremmo fare come “Maurizio” perché settant’anni fa, in una situazione che lui sentiva altrettanto deludente ed estranea dopo il troppo rapido esaurirsi del nobile idealismo azionista e liberalsocialista, non cercò rifugio in un altro “partitino” o in qualche volenterosa corrente di un partito tradizionale, bensì in un movimento (Unità Popolare) e in un giornale (“Nuova repubblica”) che mai nei suoi propositi avrebbero dovuto prefigurare un nuovo partito politico, per essere invece «centro propulsore di un generale rinnovamento della sinistra». In pratica, ciò che nel nostro piccolo intendiamo fare noi del Movimento RadicalSocialista. Guidati per l’appunto anche dalla lezione di vita, di impegno, di serietà e moralità che ci è offerta da Ferruccio Parri: antifascista, prigioniero politico e “confinato” durante il ventennio mussoliniano, emblema di storici baluardi della democrazia radicale come Giustizia e Libertà e il Partito d’Azione, comandante partigiano dei “Volontari della Libertà”, primo capo del governo dell’Italia libera e repubblicana (dal giugno al dicembre 1945), protagonista della lotta contro la “legge truffa” nel ’53, artefice dell’osmosi teorica e pratica tra il liberalismo radicale azionista ed il socialismo italiano (quello vero), “movimentista” appunto con la sua Unità Popolare negli anni Cinquanta, pacifista “senza se e senza ma” ad ogni latitudine ma di nuovo combattivo “resistente” di fronte ai rigurgiti neofascisti (vedi la rivolta genovese del 1960 contro il governo Tambroni appoggiato dal Msi) e senatore della Sinistra Indipendente fino alla morte, all’inizio degli anni Ottanta, sciagurato decennio del disimpegno e del ritorno “al privato”.
«Noi dobbiamo avere una legge: quella della libertà, della verità e della giustizia». Kantiano e mazziniano nel suo etico entusiasmo, in quella concezione pedagogica della politica e forsanche un tantino paternalistica tipica di quei “vecchi” partigiani timorosi (e non a torto) che la “gioventù moderna” non li capisse più né seguisse più il loro esempio, Parri si batté strenuamente per far sì che dopo il fascismo non tornasse mai più l’Italia “di prima”, quella del falso liberalismo elitario e classista, degli indisturbati “padroni del vapore” come li chiamava il suo amico Ernesto Rossi, per il quale sollecitò un applauso durante un convegno, «altrimenti la sua modestia potrebbe metterlo in secondo piano»… Come i grandi del Risorgimento democratico-radicale sognava «un’Italia libera, progressista e riformatrice», aperta a quell’unità europea che la «miopia nazionalistica dei governi» stava colpevolmente ritardando. Ma era il “sogno” proprio «degli idealisti, non degli utopisti», di chi «non crede alla logica della storia o alla divina provvidenza, ma nella volontà forte e disinteressata, nel concreto entusiasmo, nell’energia che le idee giuste risvegliano e polarizzano quando si facciano ideale ed azione». Dal pessimismo della ragione che constata amaramente come «la Resistenza sia incompiuta», all’ottimismo della volontà espresso perfino con poetici accenti degni del miglior romanticismo rivoluzionario ottocentesco: «Pende sul mondo in questo crepuscolo la gran paura dell’anno Mille. Oltre le nubi, oltre la paura, questo squarcio d’azzurro, questa lama di luce, quasi irreale, dell’Europa unita per la salvezza dei popoli europei». Rivoluzione democratica in Italia e in tutto il continente all’insegna della realistica utopia liberalsocialista: conquista piena dei diritti individuali e liberazione integrale della persona, ma nel contesto della «costruzione di un’organica struttura di solidarietà sociale intorno a ciascuno», affinché nessuno sia più «alla mercè dei potenti».
Il che vale anche per gli stati, chiamati a lottare a testa alta per la propria piena autonomia e autodeterminazione anche all’interno delle rispettive alleanze, «onde raggiungere quella indipendenza dai potenti della terra al servizio dei quali saremo invece se resteremo isolati». Un pacifismo che, dialetticamente, non esclude e non teme la lotta per la giusta causa della pace e della libertà dei popoli. «Infine è la libertà, la nostra libertà che vogliamo salvare ed ampliare, il nostro credo in una civiltà che fondi la liberazione e l’ascesa del popolo sullo sviluppo e l’arricchimento della personalità umana, che vogliamo trasportare sul piano più alto, sul quale solo potrà realizzarsi».
Uomo “mite e d’acciaio”, come fu definito, Ferruccio Parri animò per tutta la vita la memoria della lotta partigiana, attraverso l’attività della FIAP (Federazione Italiana Associazioni Partigiane) da lui presieduta, la fondazione dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione, le associazioni culturali e politiche di intransigente stampo antifascista, le riviste come “Nuova Repubblica” e “L’Astrolabio”, il progressivo avvicinamento al PCI nel nome dell’antifascismo militante, «dell’integrazione democratica delle masse popolari», delle «riforme strutturali» e del necessario cambiamento sociale, per il quale le riforme del primo centrosinistra si erano rivelate palesemente insufficienti. Di qui l’impegno per smantellare «quell’Italia arretrata, clericale, corrotta e protezionistica» per la quale si può parlare a ragione di continuità storica tra Giolitti, Mussolini e i governi democristiani; la comprensione profonda dei nessi tra politica, economia e società e dei loro processi di trasformazione; la lucida consapevolezza dei limiti della sinistra del suo tempo e la simpatia per la ventata di novità e radicalità portata dai movimenti studenteschi e operai del ’68-69.
Ferruccio Parri è sepolto presso il cimitero genovese di Staglieno, a pochi metri dalla tomba di uno dei suoi maestri, Giuseppe Mazzini. Quasi ad unire idealmente vecchio e nuovo Risorgimento italiano; e forse, bisogna dirlo, anche due storiche sconfitte. Almeno per ora, perché la partita non è affatto chiusa e le loro idee restano ancora in campo.