Le sparate fasciste per coprire gli schiaffoni europei

di Leonardo Marzorati

Le gravi falsità pronunciate dal presidente del Senato Ignazio La Russa sull’attentato di via Rasella sono l’ennesimo episodio di dichiarazioni provocatorie per distogliere l’attenzione dalle difficoltà del governo. Diversi esponenti di Fratelli d’Italia si sono resi protagonisti di esternazioni che colpiscono la Resistenza e la guerra di Liberazione antifascista, eventi storici a cui devono la libertà di sparare cazzate. Magari per nascondere le sconfitte del governo Meloni. I soldi europei per la costruzione del nuovo stadio Artemio Franchi di Firenze e del Bosco dello Sport di Venezia potrebbero non arrivare. Si parla di 19,5 miliardi di euro inseriti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Mario Draghi è un grande banchiere e come tale sa come spillare denaro, anche dai burocrati di Bruxelles. Dall’Unione Europea Draghi riusciva a ottenere di più rispetto a quello che riesce portare a casa Giorgia Meloni. La fiducia di figure come Ursula Von der Leyen verso l’ex presidente della Bce era altissima. Con il governo Draghi si era riusciti a ottenere, all’interno del PNRR, anche questo importante finanziamento per realizzare i due dispendiosi impianti sportivi.

Ora la Ue, per voce del commissario europeo all’Ambiente Virginijus Sinkevicius, dice che i fondi per i due stadi l’Italia li deve trovare altrove. Questa posizione ricalca quelle di diversi governi centro e nord-europei, per i quali l’Italia ha avuto “troppo” dal PNRR. Sui giornali tedeschi ogni giorno viene ricordato che è l’Italia il Paese che riceverà più finanziamenti dal Piano, ricordando che sì, loro sono stati quelli che hanno subito più perdite, umane ed economiche, dal Covid, ma non per questo si devono ignorare gli altri. Come dire: “cari italiani, va bene tutto, ma non esagerate”.

L’attuale esecutivo non può urlare allo scandalo su questa questione. Sarebbe ammettere che, nonostante un governo che si dichiara fieramente “sovranista”, l’Italia vive ancora sotto il ricatto della Ue. In concreto vorrebbe dire che Draghi riusciva a “portare a casa” di più da Bruxelles rispetto alla Meloni. E per il ceto medio italiano contano molto di più i denari contanti delle belle parole.

Le sparate dal sapore fascista dei vari esponenti di Fratelli d’Italia portano una stampa remissiva a occuparsi quasi esclusivamente di quello, distogliendo lo sguardo da questioni concrete che toccano la vita di parecchie persone, a partire da coloro che contribuiranno con il proprio lavoro a realizzare gli impianti di Firenze e Venezia. Il partito della Meloni arriva addirittura a utilizzare la seconda carica dello Stato in questa vergognosa campagna di distrazione di massa. La sparata del presidente del Senato è un fatto gravissimo che offende la Patria (quella tanto sbandierata dagli esponenti di Fratelli d’Italia). Le istituzioni democratiche italiane sono chiamate a intervenire severamente.

Il Partito Democratico contesta le parole di La Russa e di altri suoi camerati, facendo leva sull’antifascismo del proprio elettorato. Risposta obbligata, e così evita di parlare dei soldi in meno che arriveranno al nostro Paese dal PNRR. Sarebbe un argomento perfetto per smascherare la narrazione della Meloni, ma i dem preferiscono parlare d’altro. Il perché è semplice. Il Pd è complice del sistema finanziario di Bruxelles e vuole mantenersi un suo strenuo difensore. La propaganda “eurista” che ostenta un’Europa unita dai valori democratici e solidali prosegue in casa Pd, nonostante questo episodio dimostri il contrario, anche dopo l’elezione della nuova segretaria Elly Schlein.

Il caso dei soldi promessi e poi ritirati all’Italia da parte della Commissione Ue dimostra che in Europa c’è qualcosa che non va. In Europa ognuno guarda ai propri interessi e si sfruttano i cambi di governi degli altri Paesi per reclamare una fetta di torta più larga. Non c’è più lo stimato banchiere al governo, ma la fascista romana. Quindi i “trattamenti di favore sono finiti”. Almeno fino a giugno 2024, quando la Commissione Europea potrebbe non essere più guidata da una coalizione Ursula (socialisti, liberali, popolari) ma da una maggioranza popolar-populista.

Simone Weil e la politica, tra rivoluzione e riformismo

di NATALE SALVO

La Sinistra, tanto quella “rivoluzionaria” quanto quella “riformista” social-democratica, gioca piuttosto che fare vera azione politica.

La stroncatura viene dalla penna di Simone Weil (1909–1943), filosofa e partigiana francese autrice, tra gli altri scritti, delle “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale” [1].

Simone Weil: come la ragione vuole si costruisca il mondo ideale

«Bisognerebbe innanzitutto – scrive la Weil – definire a titolo di limite ideale:

  • lecondizioni oggettive che consentirebbero un’organizzazione sociale dove non vi sia traccia di oppressione;
  • quindi esaminare con quali mezzi e in quale misura è possibile trasformare le condizioni effettivamente date in modo da avvicinarle a questo ideale;
  • trovare qual è la forma meno oppressiva di organizzazione sociale per un insieme di condizioni oggettive determinate;
  • infine definire in questo àmbito il potere d’azione e le responsabilità degli individui considerati come tali».

Con questo lavoro preliminare, di riflessione approfondita e di vasto studio storico-scientifico – sostiene – «l’azione politica potrebbe diventare qualcosa di analogo a un lavoro, invece di essere, come è stato finora, o un gioco o una branca della magia».

Simone Weil: oggi i rivoluzionari non hanno idee dei propri fini o dei mezzi necessari per raggiungerli. In sostanza, oggi «nessuno ha la più pallida idea né dei fini né dei mezzi di ciò che viene chiamato ancora per abitudine azione rivoluzionaria».

«Quanto al riformismo – prosegue la filosofa anarco-comunista – , il principio del minor male che ne costituisce il fondamento è certo del tutto ragionevole, sebbene screditato da quanti ne hanno fin qui fatto uso».

Infatti, spiega: «fin quando non si è definito il peggio e il meglio in funzione di un ideale chiaramente e concretamente concepito, e di conseguenza non si è determinato il margine esatto delle possibilità, non si sa qual è il male minore, e perciò si è costretti ad accettare sotto questo nome tutto ciò che impongono di fatto coloro che detengono la forza».

Una riflessione forse eccessiva, ma indubbiamente opportuna anzi necessaria.

Conclude Simone Weil, «in generale, da ciechi quali siamo [in assenza della definizione dell’ideale di società, NdR], attualmente possiamo solo scegliere tra la capitolazione e l’avventura».

Fonti e Note:

[1] Simone Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, a cura di Giancarlo Gaeta, 2011.

Lezione di storia del comunismo (al ministro dell’Istruzione)

di LEONARDO MARZORATI

Il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, in occasione della ricorrenza del crollo del Muro di Berlino il 9 novembre, ha scritto una lettera agli studenti per dire la sua sul comunismo. Nella lettera, il ministro scrive che il comunismo «nasce come una grande utopia: il sogno di una rivoluzione radicale che sradichi l’umanità dai suoi limiti storici e la proietti verso un futuro di uguaglianza, libertà, felicità assolute e perfette. Che la proietti, insomma, verso il paradiso in terra. Ma là dove prevale si converte inevitabilmente in un incubo altrettanto grande: la sua realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte».

Siamo di fronte a un’interpretazione banale della storia, degna della propaganda di un qualsiasi pennivendolo liberale (tanto di destra quanto di sinistra). Valditara è un professore universitario di Diritto privato e pubblico romano, è stato direttore scientifico della rivista giuridica Studi giuridici europei, nonché preside del corso di laurea in Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino. Non certo un ignorante! Questo cattedratico, già presente in parlamento dal 2001 al 2013 nelle fila di Alleanza Nazionale, si è prestato ai luoghi comuni più abusati che la nuova destra e parte della sinistra liberal utilizzano per screditare quello che è stato il comunismo.

Il pensiero di Marx ed Engels è stato applicato in diverse occasioni nel corso del XX secolo, in contesti geografici e temporali differenti. Il movimento comunista mondiale nasce con la Rivoluzione d’Ottobre e con la formazione della Terza Internazionale, ma solo un’analisi pressapochista lo relegherebbe al totalitarismo staliniano, agli orrori che hanno caratterizzato i regimi extraeuropei marxisti-leninisti e al rigido autoritarismo burocratico che segnò i Paesi dell’Est Europa. Continua a leggere

Rino Gaetano la “pacificazione” impossibile

di GENNARO ANNOSCIA –

Uno dei più grandi limiti del sapere del nostro tempo consiste nella volontà di decontestualizzare, ossia di destoricizzare ogni evento o fenomeno storico e culturale, nella ricerca di una “pacificazione” che, in realtà, altro non è che una omologazione; è per tale ragione che, contrariamente a molti, ritengo giusto che “Fratelli d’Italia” mantenga nel proprio simbolo la fiamma tricolore, in quanto emblema identitario, ma, in pari tempo, mi fa davvero male sentire risuonare nel carrozzone patriottardo le note delle canzoni di Rino Gaetano.

Rino non era, come alcuni forse ancora credono, un cantore della superficialità, bensì un acutissimo osservatore della realtà del proprio tempo; basterebbe pensare, in modo paradigmatico, proprio a quella “Berta filava”, lettura in chiave critica dell’azione intrapresa da Moro nella costruzione del cosiddetto “compromesso storico”, tipica del “Movimento del ’77” di cui Rino era parte, anche se espressione di una sinistra alternativa e creativa, e proprio per questo antisistema, o al suo cantare delle stragi di Stato il cui braccio armato erano proprio i neofascisti.

In quanto ai “Fratelli d’Italia” del Risorgimento, quelli erano giovani che morivano per la propria Patria, ma anche per quella altrui, basterebbe semplicemente pensare a Lord Byron e Santorre di Santa Rosa. È per tale ragione che – oggi più che mai – non sarebbe male se ognuno tenesse alti i propri valori e riferimenti, senza alcuna speranza di omologante pacificazione.

Edmondo De Amicis e il socialismo del CUORE

di GIANCARLO IACCHINI

Edmondo De AmicisNel 1891, cinque anni dopo il grande successo del celeberrimo Cuore, Edmondo De Amicis (1846-1908) scrive un altro accorato romanzo intitolato Primo maggio, che segna la sua convinta adesione al nascente socialismo italiano (il partito socialista verrà fondato appena un anno dopo, e proprio nella sua Liguria). Un libro commovente e sofferto, rimasto però incredibilmente inedito (e sconosciuto) per quasi un secolo: è stato pubblicato infatti solo nel 1980. Qui lo scrittore mette di nuovo in campo tutto il suo… cuore, ma stavolta sul piano sociale e politico, insieme al frutto dell’appassionato studio della teoria economica marxiana e alla sincera autocritica riguardo al melenso patriottismo che aveva caratterizzato la sua opera più famosa. «Non si può amare una patria senza amarle tutte», avverte adesso De Amicis, né esaltare la propria contro le altre; ma le ragioni del cuore quelle no, non le rinnega affatto. Continua a leggere

Rizzo, più radical chic che marxista

di LEONARDO MARZORATI

Nella sinistra radicale è spesso al centro dell’attenzione Marco Rizzo, ex deputato di lungo corso prima con Rifondazione Comunista e poi con i Comunisti Italiani. Ora l’ex parlamentare torinese è segretario del piccolo Partito Comunista, che alle elezioni del 25 settembre sarà presente nella lista Italia Sovrana e Popolare. Si tratta di una mini coalizione con all’interno no vax, sovranisti di sinistra (o che si dichiarano tali), rossobruni e l’ex magistrato Antonio Ingroia. Presidente di Italia Sovrana e Popolare è Francesco Maria Toscano, avvocato calabrese di cui si sa ben poco, ma che con la sua piccola Ancora Italia è riuscito a mettere in piedi kermesse politiche degne di un partito della prima Repubblica. In più, Toscano per anni ha pagato il discusso “filosofo” Diego Fusaro per le sue lezioni agli iscritti al partito. Continua a leggere

Piero Angela

di GIANCARLO IACCHINI

Oggi 13 agosto, proprio nel giorno della sua scomparsa, siamo fieri (e commossi) di annoverare Piero Angela (1928-2022) tra i nostri maestri ideali. Questo perché la verità, insieme alla giustizia e alla libertà, fa parte integrante dell’abc dei valori e dei principi democratici in cui profondamente crediamo. Il perché lo ha spiegato lo stesso Angela: «Curiosamente, mentre si parla molto spesso di partecipazione intesa come uno strumento di sviluppo democratico, raramente si parla di divulgazione come condizione essenziale per capire e quindi per partecipare. La democrazia non può infatti basarsi sull’ignoranza dei problemi, perché uno dei suoi grandi obiettivi è proprio quello di rendere i cittadini responsabili e consapevoli, in modo che possano esercitare i loro diritti utilizzando al meglio la loro capacità di comprendere».

Conoscenza e coscienza sono dunque unite in modo inestricabile: la verità e la giustizia sono i due volti di un nesso dialettico che non si può separare. È impossibile trasformare il mondo se non lo si comprende; se non lo si studia con quel rigore, serietà, intelligenza e razionalità che Piero Angela, il più grande e popolare illuminista italiano degli ultimi decenni, ha dimostrato nei 70 anni della sua avventura culturale e televisiva, durante la quale non soltanto ha divulgato le scoperte scientifiche e la conoscenza della natura presso il popolo italiano, con un linguaggio semplice ed uno stile affabile e cordiale, ma ha ripercorso le svolte epocali della storia (dall’illuminismo alla rivoluzione francese, dal Risorgimento italiano alle drammatiche vicende del 900) sempre in chiave democratica, laica, progressista e libertaria, cogliendo gli elementi di liberazione dall’ignoranza e dall’oscurantismo, dal dogmatismo e dal fanatismo, da tutto ciò che opprimendo il libero pensiero e spegnendo il lume della ragione tiene incollato o risospinge l’uomo nella barbarie primitiva. La conoscenza come liberazione dunque, come coscienza di diritti che non possono essere rivendicati se non sono conosciuti ed apprezzati.

Autore di una cinquantina di libri, oltre che delle trasmissioni televisive di successo che tutti ben conoscono (attraverso le quali ha istruito e formato intere generazioni), Piero Angela ha combattuto le catene dell’ignoranza, del pregiudizio, della pseudoscienza, del becero “terrapiattismo” con cui i reazionari hanno sempre cercato di contrastare l’avanzata del progresso culturale e democratico: due processi strettamente connessi e che si alimentano e si sospingono a vicenda. Il tutto con un esempio personale di umanità, cortesia, garbo, rispetto ed assoluta onestà. Un Voltaire contemporaneo che merita di essere annoverato tra i grandi protagonisti non semplicemente della televisione, il che appare perfino riduttivo nonostante il grande seguito popolare e l’enorme successo dei suoi programmi, ma dello stesso sviluppo democratico di questo “difficile Paese”, come ha definito l’Italia nel suo messaggio di commiato, in cui ha invitato tutti noi a continuare a fare la nostra parte di “dovere” e di “servizio”, dicendosi convinto (e a buon diritto) di aver fatto pienamente la sua.

Nelson Mandela

di GIANCARLO IACCHINI ♦

Se il motto di MRS è “giustizia e liberazione”, nessuno incarna queste due parole – anche nel loro significato più concreto ed esistenziale – meglio di Nelson Mandela (1918-2013). Sarebbe impossibile, e non ce n’è certo bisogno, ripercorrere in questa scheda la sua lunghissima battaglia contro l’apartheid in Sud Africa, la forma più estrema di razzismo ed una delle più ignobili vergogne mai viste sulla faccia della terra ad opera di esseri umani contro altri esseri umani; una lotta fiera e coraggiosa costata a “Madiba” ben 27 anni di carcere. Premio Nobel per la pace nel ’93, prima di diventare – dopo la liberazione dal carcere festeggiata in tutto il mondo civile – il nuovo presidente del suo Paese con il 62% dei voti alle prime elezioni libere. Simbolo dell’African National Congress, il suo partito (che volle portare nell’Internazionale Socialista), ma a suo tempo anche dirigente del Partito comunista sudafricano, secondo quell’unità tra la lotta per la libertà e la lotta per la giustizia sociale che nella mente di Nelson Mandela rappresentavano un’unica inseparabile causa. Continua a leggere

Lucio Libertini

di GIANCARLO IACCHINI ♦

LibertiniDalla Federazione Giovanile Socialista a “Iniziativa Socialista”, dal Partito Socialista dei Lavoratori all’Unione dei Socialisti Italiani, dal Psi al Psiup, dal Psiup al Pci, dal Pci a Rifondazione Comunista: qualcuno lo chiamava, per scherzo e con una punta di malizia, lo “scissionista” per antonomasia, ma lui negava quest’apparente continuo slittare a sinistra: «Non sono io che mi sposto sempre più a sinistra – esclamava – sono i partiti che si spostano sempre più a destra; e quindi io, per rimanere fermo sulle mie posizioni e coerente con le mie idee, sono costretto ogni volta a cambiare partito!». Sembra impossibile che siano già passati trent’anni dalla morte di Lucio Libertini (1922-1993), emblema di una sinistra che non si voleva arrendere all’opportunismo ed alla continua corsa verso il “centro” che è il vero “fattore k” (anzi “c”) che blocca la democrazia italiana, impedendo quella dialettica chiara e “pulita”, quello schietto confronto di idee contrapposte e quelle alternative politiche franche e trasparenti che già Piero Gobetti aveva teorizzato di fronte al nascente totalitarismo fascista, erede per molti aspetti dei decenni di trasformismo che da Depretis a Giolitti avevano reso stagnante e putrida l’acqua in cui nuotava il giovane e dilettantesco liberalismo all’italiana. Continua a leggere

Enrico Berlinguer

di GIANCARLO IACCHINI

Enrico Berlinguer«Piano, Roberto… piano!». Quando uno scatenato Benigni lo prese letteralmente in braccio, sul palco, durante una manifestazione del Pci, lo schivo e serissimo segretario generale sorrise divertito, ma manifestò con quelle parole, sussurrate all’orecchio dell’irriverente “toscanaccio”, una certa…preoccupazione: «Veramente in quell’istante mi preoccupai anch’io – ricorda Benigni – Infatti l’avevo sollevato mettendoci tutta la forza che avevo, senza immaginare che fosse così leggero, così rischiai proprio di buttarlo per aria!». L’insostenibile leggerezza di essere Enrico Berlinguer (1922-1984), un uomo invece il cui peso politico, nella storia dell’Italia repubblicana, era inversamente proporzionale alla sua figura esile e minuta. Per 12 anni, dal ’72 fino alla morte, fu segretario del Partito Comunista Italiano, erede di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti e Luigi Longo. Per avere un’idea del suo carisma, e del rispetto che ispirava, bastava guardare i visi e gli occhi delle centinaia di migliaia di cittadini che accorrevano ai suoi comizi, visi e occhi che esprimevano fiducia, orgoglio e speranza. La speranza millenaria di quella “classe lavoratrice” a cui egli faceva costante riferimento, in ogni suo scritto e discorso. Profondamente legato alla sua terra di Sardegna, Berlinguer era stato anarchico in gioventù, ma fin dal 1943 si era iscritto al Pci, portando nel partito di Togliatti la sua concretezza, metodicità, onestà intellettuale, rigore politico e morale. La questione morale appunto, il compromesso storico, l’alternativa democratica, l’austerità, lo strappo con l’Urss, l’eurocomunismo, la terza via: sono solo alcune delle intuizioni e proposte che contraddistinguono la sua indimenticabile era alla guida del più forte partito comunista del mondo occidentale. Continua a leggere