L’attacco ai diritti delle donne

di ENRICA FRANCO

Le difficoltà che le donne in Italia affrontano tutti i giorni dovrebbero essere argomento di approfondimento e motivo di lotta: sono invece spesso sottaciute, quasi non esistessero.

Le donne per prime sono silenti riguardo alla loro condizione, ammutolite da anni di attacchi pesantissimi. Il precariato, la disoccupazione, il taglio dei servizi sociali hanno colpito uomini e donne, ma sono queste ultime ad averne pagato il prezzo più alto. Una donna che si affaccia al mondo del lavoro, per quanto possa essere capace, trova porte sbarrate e umiliazioni. Dopo aver superato imbarazzanti colloqui riguardanti il proprio desiderio di maternità, lavora senza sosta nella vana speranza di ottenere un contratto a tempo indeterminato; le ore di straordinario non pagate non si contano e purtroppo, spesso, subisce in silenzio anche le angherie del proprio capo.

Tutto questo per ottenere, il più delle volte, un contratto a tempo determinato che si protrae all’infinito, fino all’eventuale gravidanza che coinciderà con il licenziamento, mentre i colleghi uomini guadagnano di più a parità di lavoro svolto e avanzano di carriera al di là delle loro reali capacità.

La casistica dei soprusi subiti dalle donne nel mondo del lavoro è lunga e variegata, colpisce principalmente le lavoratrici dipendenti, ma anche le donne che lavorano nella “fabbrichetta di papà”, costrette a contrattare la gravidanza con il “padre padrone”, o le lavoratrici autonome, prive di qualsiasi tutela sociale. Per non parlare delle difficoltà che incontrano le donne immigrate, alle quali sono preclusi la maggior parte dei lavori e vivono l’enorme difficoltà di essere prive dell’unica rete sociale che funzioni: la famiglia.

Esiste però una piccola categoria di donne che, pur subendo la cultura maschilista, non condivide le difficoltà della maggior parte di noi: sono le donne appartenenti alle classi sociali più elevate, dove la cura della casa e della famiglia è demandata a persone salariate. Anzi, si tratta di donne pronte a far subire ogni sorta di mobbing alle dipendenti appena rientrate dalla maternità. Questo perché esiste una divisione ben più profonda di quella creata intorno alla differenza di genere: è la divisione tra le classi sociali. Le lavoratrici non troveranno mai dalla loro parte le imprenditrici in nome di una presunta solidarietà tra donne: è un fatto.

Il movimento delle donne, quindi, non può essere un movimento interclassista. Tutti i tentativi avanzati in questa direzione hanno fallito; al contrario soltanto le donne dei ceti sociali più bassi, combattendo contro lo sfruttamento di classe che le opprime, giungeranno a liberarsi, contemporaneamente, dall’oppressione di genere. Una società nuova, in cui gli esseri umani potessero vivere in armonia, spazzerebbe la piaga del maschilismo in un colpo solo.

La cultura maschilista e patriarcale che invece ci attanaglia ha radici lontane (per chi volesse approfondire consiglio L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di F. Engels) ed è indissolubilmente legata al sistema economico attuale. Base fondamentale di questo tipo di società è la famiglia, un nucleo di persone sempre più ristretto che rappresenta il vero dramma delle donne. Sono le donne all’interno di questo piccolissimo nucleo che hanno il “dovere sociale” di prendersi cura della casa, dei bambini, degli anziani e dei disabili. Un carico di lavoro disumano che rende schiave e abbruttisce.

In questi ultimi anni i continui tagli ai già pochissimi servizi sociali hanno peggiorato di gran lunga la situazione. Le donne si trovano ormai di fronte al bivio di dover scegliere tra il lavoro e la famiglia e, in tempi di difficoltà economica, la scelta risulta ancora più drammatica. E’ tra le quattro mura domestiche, inoltre, che troppe donne trovano violenza e persino la morte. Il dramma dei femminicidi è la punta dell’iceberg di questa infame cultura che riduce la donna a preda dell’uomo. La solitudine in cui si è ingabbiate non diminuisce, purtroppo, nemmeno dopo numerose denunce nei confronti degli aggressori.

In Italia la cultura cattolica ha responsabilità pesanti riguardo la condizione femminile. La donna è umiliata sin dalla nascita attraverso un’immagine distorta che la vuole prima diavolo tentatore (quanti affanni di fronte a un difetto fisico, tanto da arrivare ad ammalarsi pur di essere magre e attraenti), poi contenitore di vita, infine angelo del focolare (possibilmente ancora attraente, con le conseguenti difficoltà ad adeguarsi a queste richieste sociali). Ma è intorno alla gravidanza che si accaniscono con i più feroci attacchi. Voler impedire ad una donna di abortire è tanto assurdo quanto inquietante: chi altri potrebbe decidere su ciò che avviene nel proprio corpo?! Eppure, nonostante la 194 sia ancora in vigore, già oggi una donna che decide di abortire deve affrontare non poche difficoltà: innanzitutto deve trovare un medico disposto ad aiutarla, in quanto l’obiezione di coscienza rende la legge quasi inattuabile in molti ospedali d’Italia, poi spesso deve affrontare il colloquio con i volontari del Centro di Aiuto per la Vita (Cav), che le parleranno delle gravi conseguenze psicologiche che dovrà affrontare dopo il suo ignobile gesto.

Se quella stessa donna avesse avuto la possibilità di vivere la sua vita sessuale con gioia e libertà forse avrebbe potuto utilizzare meglio gli anticoncezionali, che invece subiscono ancora oggi una battaglia culturale senza quartiere. E se avesse voluto assumere la “pillola del giorno dopo” per non rischiare di giungere all’aborto? Non sarebbe certo stato semplice: in Italia è quasi introvabile. L’ultima spiaggia rimane dunque proprio l’aborto, ma va affrontato con dolore, perché la “pillola abortiva” si utilizza pochissimo: sarebbe troppo facile per queste donne peccatrici!

Un’altra vergogna italiana è il termine temporale per affrontare un aborto terapeutico, fissato intorno alla 22esima settimana di gravidanza. Peccato che molte malformazioni vengano riscontrate durante l’ecografia morfologica, che si svolge tra la ventesima e la 22esima settimana, ciò significa che si hanno pochi giorni a disposizione per prendere una decisione drammatica. Se i genitori vogliono affrontare tutti gli esami possibili (ovviamente a pagamento) prima di decidere, rischiano di sforare i tempi ed essere costretti a portare a termine la gravidanza. Ma, per chi può permetterselo, un’altra soluzione c’è ed è quella di recarsi all’estero, dove la presenza della Chiesa non è così opprimente e hanno l’umanità di farti partorire senza dolore (perché in quelle settimane di gestazione si tratta comunque di affrontare un parto, ma in Italia l’utilizzo dell’epidurale è limitato a pochissimi ospedali) e di far spegnere tuo figlio con un’iniezione, piuttosto che tentare di rianimarlo per farlo morire lentamente (follie del cattolicesimo). Stessa possibilità hanno le coppie con problemi di infertilità, che si recano all’estero per aggirare la legge 40, o le donne di altro orientamento sessuale che vogliano diventare madri o sposarsi. Chi può, insomma, prende un biglietto aereo e fugge lontano da qui, le altre subiscono in silenzio.

Tutte queste leggi, che umiliano le donne, sono state avvallate dai governi dei diversi schieramenti: non facciamoci illusioni, dunque, sulla maggiore presenza di donne in Parlamento. Nessuna forza parlamentare – Pd, Pdl o M5S – affronta le questioni che potrebbero realmente cambiare la condizione delle donne: abolizione dell’obiezione di coscienza, aumento del limite temporale per l’aborto terapeutico, abolizione della legge 40. Un programma a favore delle donne dovrebbe inoltre prevedere l’abolizione dell’insegnamento della religione cattolica e il ripristino del tempo pieno nelle scuole. E ancora, un aumento esponenziale dei servizi sociali (tagliati dalle giunte locali grilline, di sinistra e di destra): servirebbero più asili nido, centri di assistenza pubblici e gratuiti per anziani e disabili, lavanderie e mense pubbliche.

Bisognerebbe avere anche la volontà politica di abolire le leggi che hanno precarizzato il lavoro: dal Pacchetto Treu alla Legge 30 alla “riforma Fornero”. Il part-time dovrebbe essere una libera scelta delle donne, così come la possibilità di revocarlo. La maternità dovrebbe essere pagata al 100% per un anno; allo stesso tempo bisognerebbe tutelare i lavoratori che sostituiscono le donne in maternità, assicurando loro un canale prioritario per l’assunzione a tempo indeterminato nell’azienda dove hanno lavorato o, eventualmente, in un’altra. Le donne disoccupate dovrebbero contare su un salario sociale, che permetterebbe loro di essere economicamente indipendenti. Come finanziare tutto questo? Prendendo i soldi lì dove sono! Basterebbe introdurre una severa tassazione progressiva dei grandi redditi e patrimoni, evitare lo spreco di denaro in opere inutili come la Tav, eliminare le spese militari: questi sono soltanto alcuni esempi che fanno comprendere come non sia vero che non ci siano soldi, sarebbe più corretto dire che non ci sono soldi per i proletari, ma ce ne sono tantissimi per la grande borghesia. Il problema è che finché non ci sarà un governo dei lavoratori queste richieste di buon senso continueranno ad apparire utopiche; per questo motivo le donne dovranno lottare insieme agli uomini per cambiare questo sistema dalle fondamenta: soltanto così lotteranno anche per la propria liberazione.

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