di GIANCARLO IACCHINI –
A digitare il suo nome su un qualunque motore di ricerca su internet escono fuori quasi soltanto notizie sportive, per il fatto che nella via della zona mare che la sua città, Pesaro, gli ha intitolato ha avuto sede per anni la squadra di basket della Scavolini. Chissà che cosa ne direbbe Mario Paterni, uomo politico radicale e giornalista combattivo che nella seconda metà dell’Ottocento fu una delle personalità più amate nella città di Rossini ed uno dei politici locali più famosi a livello nazionale. Forse rifletterebbe con amaro stupore sull’ingratitudine dei tempi nostri, o forse quella devozione per il “popolo” di cui in ogni circostanza diede ampia dimostrazione lo spingerebbe ad una divertita indulgenza.
C’era mezza Italia in quel giorno di primavera del 1892 quando si tennero in forma solenne i suoi funerali: più di 50 delegazioni di partiti e associazioni provenienti da molte regioni; un centinaio le bandiere, con in evidenza i vessilli del movimento repubblicano e democratico-radicale. Paterni infatti, nato a Pesaro il 10 settembre del 1837, era stato un giovane e convinto seguace di Garibaldi e più ancora di Mazzini, uno che sognava la repubblica nell’Italia monarchica appena unificata dai Savoia, il suffragio universale in un sistema politico che escludeva le donne, i poveri, gli analfabeti ed i giovani sotto i 30 anni finendo così per riconoscere il diritto di voto solo al 2% della popolazione con i governi della Destra Storica e poi al 7% con la pallida Sinistra di Agostino Depretis, inventore peraltro di quell’“inciucio” parlamentare passato alla storia col nome di “trasformismo” e che il radicale Paterni avversava con tutte le sue forze.
Lui era per il bipolarismo, per le idee chiare, nette e… contrapposte: non era un socialista, secondo la definizione ottocentesca del termine, ma a suo avviso le lotte politiche e sociali non potevano che far bene allo stato liberale, altro che “sovversivismo”! Peccato che le autorità dell’epoca non fossero di vedute altrettanto larghe: perciò quasi tutte le iniziative di Mario Paterni finirono sotto la loro implacabile mannaia. Le “società popolari” e i club radicali da lui fondati furono sottoposti a perquisizioni, sequestri, chiusure; stessa sorte per il “Circolo di educazione morale e intellettuale”, sciolto dal prefetto nel 1874 (anno in cui Paterni dovette addirittura sopportare l’onta dell’arresto e di una breve reclusione), e per il successivo “Patria e Lavoro”. Idem per i giornali Il popolano e La sveglia democratica, attraverso i quali lanciava strali avvelenati su conservatori, monarchici e clericali. Ma fondando (sempre a Pesaro) l’associazione “Dio e Popolo”, Paterni mostrò di condividere la stessa religiosità anti-ecclesiastica (una sorta di illuministico deismo) cara a Mazzini, che non mancò di invitare più volte a Pesaro insieme a un altro celebre protagonista della Repubblica Romana, Aurelio Saffi.
Fu il consigliere provinciale pesarese e futuro sindaco di Roma Ernesto Nathan, figlio della “pasionaria” radicale Sara Levi (amica personale di Mazzini, Garibaldi e Cattaneo), a pronunciare una commossa e appassionata orazione al suo funerale. A parziale rivincita, in un’esistenza spesa a propugnare idee diventate realtà solo con la Repubblica democratica e la Costituzione (e cioè più di mezzo secolo dopo la sua morte), fu l’elezione a consigliere comunale nel 1875, mentre alle politiche venne battuto al ballottaggio per soli 65 voti nel collegio uninominale di Pesaro: non entrò in Parlamento ma a Roma ci andò lo stesso, nel 1881, per parlare ad un grande comizio in favore del suffragio universale, secondo oratore dopo Felice Cavallotti, il prestigioso capo dell’Estrema Sinistra e fondatore del partito radicale in Italia.