Il vecchio Marx e il nuovo nulla…

di Monica Ravalico

Karl Marx è ancora attuale al giorno d’oggi? Perché il celebre autore del Manifesto del partito comunista è ancora attuale? In fondo Marx è considerato un filosofo, un classico della cultura, uno di quegli autori che si studiano a scuola, oltre che l’ideologo del comunismo, del socialismo di stato, il papà della sinistra. In treno poco tempo fa ho visto una ragazzina che leggeva un’edizione moderna del Manifesto, e a voler essere proprio sinceri lo stesso Marx quando ha scritto il Manifesto aveva solo trent’anni. La lunga barba bianca con cui viene sempre rappresentato è successiva. E poi dicono che è una filosofia vecchia, il marxismo!

Perché Karl Marx decise, nel lontano 1848, di scrivere quel libricino divenuto quasi subito uno dei classici del pensiero politico di tutti i tempi, come La repubblica di Platone, Il principe di Niccolò Machiavelli, o Così parlò Zarathustra di Nietzsche? In realtà la genesi del Manifesto non fu idea di Karl Marx, ma gli venne commissionato dalla neonata Lega dei comunisti tedesca di elaborare un documento teorico-programmatico, con cui giustificare concettualmente ai borghesi che non capivano, o meglio che non volevano capire, perché la classe operaia oppressa fosse stanca di lavorare 14 ore al giorno, per uno stipendio da fame e vivendo in condizioni igieniche disastrose, tanto da insorgere nei famosi moti insurrezionali del 1848, contro i ricchi proprietari delle aziende in cui venivano trattati come merce, forza lavoro da sfruttare a piacere, per incrementare a dismisura i loro profitti.

Erano i tempi in cui la working class, la classe operaia, veniva comunemente chiamata proletariato, un termine crudele con cui si indicava quelle persone che possedevano soltanto la propria prole, i propri figli e nient’altro. Nulla di più. Non erano proprietari di nulla, non avevano tutele sindacali, né diritti, come l’assistenza sanitaria, l’istruzione pubblica per i figli o la pensione, ma solo il dovere di lavorare fino allo sfinimento. Solo gli schiavi neri nelle piantagioni di cotone del Sud degli Stati Uniti stavano messi peggio, tanto da poter anche venire picchiati dal padrone come se nulla fosse, senza nessun motivo.

Erano altri tempi, i tempi della Capanna dello zio Tom, di Harriet Beecher-Stowe, di un’altra America, di un’altra epoca, di un’altra società, che appare a noi così remota e lontana nel tempo oggi che Barack Hussein Obama è il primo Presidente di colore degli USA. Chi lo avrebbe mai detto? Un afroamericano alla Casa Bianca, quando solo quarant’anni fa i neri non potevano neanche andare a scuola assieme ai bianchi, o sedercisi accanto sugli autobus, e personaggi come i due Kennedy, Martin Luther King e Malcom X ci hanno lasciato le penne parlando di eguaglianza sociale e di diritti civili. (…) Ma perché mai gli Americani avrebbero dovuto cambiare rotta, quando erano solo in crisi economica, oltre al fatto di essere stati bombardati per la prima volta nell’arco di tutta la loro storia sul loro stesso suolo? Che gente spiccia questi americani, che sputano dei giudizi così grossi e decisi, senza neanche cercare di minimizzare la crisi. Se c’è una crisi economica, mica occorre gridarlo a tutti. Dopo si diffonde il pessimismo, e la gente non consuma più, perché è scontenta ed ha paura del proprio futuro.

È molto più sano dire che va tutto bene, come faceva Romano Prodi, dopo aver bevuto un litro di valeriana, o dire che è tutto sotto controllo, come fa Berlusconi, il profeta dell’ottimismo. Se Giacomo Leopardi è stato a suo tempo il teorico del pessimismo cosmico, Berlusconi lo è dell’ottimismo perenne, della felicità costante, che è tipica di una persona a cui va tutto sempre bene da anni, anzi splendidamente: dal terremoto in Abruzzo, al divorzio con Veronica Lario, al caso Noemi Letizia, al caso Mills, agli scontri con la Lega, alle discussioni con Gianfranco Fini, ecc… ma in fondo è tutto ok.

Numero uno, faccio quello che vorrei” (Jovanotti). “E quando torni, facciamo festa, senza nessuno che ci lasci la testa”, beh, tanto lui non ci lascia la testa mai. Berlusconi non cade mai. Cioè due volte il suo governo è anche caduto, ad essere sinceri. Non è mica Marco Tullio Cicerone, il principe del foro romano, il senatore a cui hanno tagliato la testa, esponendola pubblicamente nel foro romano, in quello stesso foro in cui teneva le sue celebri orazioni ai romani. I tempi sono cambiati dagli antichi romani ad oggi. Oggi i politici discussi rimangono lì di legislatura in legislatura.

Di diverso avviso è Oscar Luigi Scalfaro, senatore a vita, ex Presidente della Repubblica, che ha ricoperto le più ampie cariche dello Stato, che ha definito quella attuale la peggiore stagione politica che abbiamo mai vissuto. I valori si sono largamente dimenticati, ma quello che più mi preoccupa sono i milioni di voti che spesso hanno il sapore di qualunquismo. Malgrado questo, sono ancora ottimista. Battagliare è dovere ed è vita, non bisogna arrendersi mai.

Il nuovo deve ancora venire avanti, non si è già visto. Una delle ragioni di questa deriva è la legge elettorale, che non rispetta la legge della democrazia. Chi ha pensato questa legge l’ha anche battezzata, definendola una “porcata”. Ho studiato diritto romano, ma una simile definizione non l’ho mai trovata. Ciò è più grave di quanto si creda: oggi non c’è un parlamentare che sia stato eletto dal popolo italiano. Si ferisce gravemente il diritto del cittadino di essere partecipe della cosa pubblica, che è il diritto che distingue la democrazia dalla dittatura. Per questo è grave aver tolto il sistema delle preferenze. Dà la sensazione che siamo in periodi di mercato. L’inciucio è sempre esistito, ma non è mai stato il metodo della politica. Il metodo prima era il confronto leale. La logica del passato però si è largamente capovolta. Prima i candidati e i parlamentari giravano da un paese all’altro per mantenere il necessario rapporto col territorio. Oggi questo rapporto non c’è. Nel governo di oggi più che le competenze dei ministri, conta la loro disciplina, la loro devozione. Sono stato ministro dei Trasporti in tempi in cui le battaglie sindacali erano serie. Bisogna andare agli scontri con una lealtà assoluta.

Beh, che dire, a parte Silvio Berlusconi, non tutti sono così ottimisti sul futuro del paese, anche politici di lungo corso. I giornalisti Stella e Rizzo, dopo aver venduto più di un milione di copie de La casta, hanno intitolato il loro nuovo volume La deriva. Chissà come mai, forse perché il debito pubblico sta schizzando verso il 121%?

Qualunque cosa accada, ed in questo periodo in Italia se ne sentono davvero di tutti i colori, e non solo in Italia, gli italiani possono però avere almeno una certezza su cui contare sempre e comunque: che Berlusconi non perderà mai l’ottimismo, perché tanto lui rimane ricco e potente sempre e comunque, lui non cade mai di sella. Non siamo in America dove i repubblicani hanno perso.

In Italia se una classe politica dimostra di non sapere risolvere le tematiche che la società via via presenta, come minimo aumenta il suo consenso, e viene riconfermata, ma in realtà credo solo che l’Italia sia un paio di mesi indietro rispetto agli Stati Uniti, e che il cambiamento non ci sia ancora stato, qui da noi siamo ancora in piena epoca Bush, con i repubblicani in testa. E si vede.

La stampa viene plagiata dai soldi di Berlusconi, tanto che l’Italia è stata recentemente retrocessa a livello internazionale a paese con libertà di stampa parziale, e le istituzioni anziché comparire per ciò che di fatto sono, finiscono per essere “allegorie” o personificazioni di una realtà spirituale che se ne sta occultamente dietro di essi, che è solo una costruzione speculativa di quello che la realtà essa è davvero. Quindi ora bisogna ricapovolgere la realtà, riconoscere ciò che è soggetto e ciò che è predicato, ciò che è vero da ciò che è menzogna, con il metodo trasformativo, con cui Karl Marx si prefiggeva di modificare la realtà, con le sue mistificazioni ordite per bene a danno della gente semplice, per favorire pochi ricchi, che si tutelavano l’un l’altro, praticamente come oggi. Non cambia mai nulla, in fondo.

Il misticismo logico per Marx doveva divenire azione, il divenire-filosofia del mondo, che è in pari tempo un divenire-mondo della filosofia, cioè la filosofia che si tramuta in azione concreta di sostegno alle classi oppresse. Karl Marx non a caso viene considerato il padre della sociologia, l’inventore di una nuova scienza, che si impegna a fare un’analisi globale della società e della storia, di tutto l’assetto del sistema capitalistico, ossia del mondo borghese nella molteplicità delle sue espressioni reali. Il marxismo riprende l’idealismo di Hegel, uno dei massimi filosofi di tutti i tempi, ma diviene materialismo storico, si caratterizza cioè per un legame con la prassi, con la realtà concreta di quel tempo, ma di ogni tempo.

È post-aristotelico, post-hegeliano, cala la filosofia nella realtà attuale, non solo nell’ambito della speculazione. Già nella sua tesi di laurea Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro del 1841, Marx sostiene che Hegel avesse solo pensato l’incontro di realtà e razionalità, che andava attuata in una nuova società, basata su delle regole del tutto diverse. Sullo sfondo del pensiero di Marx c’è l’idealismo di Hegel e l’influsso del romanticismo tedesco, che non giunse mai di fatto alla pars costruens, a costruire cioè una nuova società, ma fu solo una critica molto forte di quella precedente, fu solo pars destruens, opera di critica e di distruzione delle ingiustizie della società precedente.

Più o meno come la sinistra italiana di oggi, del resto, che si caratterizza più per l’antiberlusconismo, che per la prassi di governo. Una sinistra con troppi spifferi, troppe correnti di pensiero al suo interno e poca progettualità concreta, mentre l’Italia ora avrebbe bisogno proprio di concretezza e di unità di intenti.

Enrico Letta sostiene che l’Italia debba ritornare a pensare in grande, ed il grande non può essere certo uno come Berlusconi, che da anni rifila sempre le stesse menzogne mediatiche agli Italiani. Poi non si capisce perché in Italia non si arrivi mai ad essa, al legame con la prassi concreta, né da una parte politica né dall’altra.

Dopo l’approccio filosofico/metodologico, secondo Marx bisogna giungere a quello storico-politico, per non fermarsi solo alla sterile critica dei mali della società attuale, ma anche alla sua soluzione. In Italia, invece, non cambia mai niente alla fin fine, e le problematiche poste rimangono sempre quelle, anche a distanza di anni. Basti pensare che lo stesso Marx, abbandonati i progetti di carriera universitaria, in seguito alla politica sempre più reazionaria del governo prussiano, si dedica al giornalismo politico. Divenuto caporedattore della “Gazzetta renana”, è costretto a trasferirsi a Parigi in seguito all’interdizione del giornale da parte del governo (1843).

Sembra una situazione molto nota, piuttosto comune oggi. Questo allontanamento portò Marx a maturare un distacco polemico dagli ambienti intellettuali tedeschi, ma anche dall’intera filosofia tedesca, tanto da portarlo a fondare la “Nuova gazzetta renana”, a Colonia. Solo l’amicizia intellettuale con Friedrich Engels durerà tutta la vita, ed è un sodalizio che porterà Marx poco più che trentenne a scrivere il Manifesto del partito comunista, ed Engels a stendere il primo trattato di economia sociale, che è il notissimo libro La situazione della classe operaia in Inghilterra.

Comunque sia, le differenze tra le posizioni degli intellettuali tedeschi del tempo sembrano ricalcare certe scissioni interne alla sinistra intellettuale italiana di oggi, scissioni peraltro non condivise dagli elettori, che invece preferirebbero maggiore compattezza di temi e di proposte.

Le teorie di Marx che valore hanno ancora? Ha ancora valore definirsi comunista al giorno d’oggi? Tuttora ci sono esponenti politici, che si ricollegano più o meno direttamente alle teorie marxiste, divisi in varie correnti, nonostante il caposaldo di tutto il pensiero di Karl Marx sia proprio il celebre motto “Proletari di tutto il mondo unitevi”, ossia l’invito all’unione proletaria, ad una stretta e proficua collaborazione fra le persone umili. Ma Marx deve avere pure un valore non solo affettivo per il centro-sinistra, se come sostengono i politici di Rifondazione comunista da solo il simbolo con falce e martello vale due milioni di voti nelle sole elezioni italiane. I dati effettivi sembrerebbero un po’ smentirli, ma è certo che i concetti teorizzati da Karl Marx hanno poi trovato assoluto riscontro nella realtà, negli sviluppi concreti e successivi del sistema capitalistico dal 1848 sino ai giorni nostri. L’internazionale proletaria, per esempio, è in fondo così diversa dalla società multietnica? Si sbagliava, forse, Marx quando dichiarava che il sistema economico non tende alla piena occupazione, vista la quantità sempre più crescente di disoccupati, cassaintegrati, e precari in tutto il mondo? O quando ipotizzava uno sviluppo economico che non fosse incompatibile con l’ambiente circostante? Era semplicemente in anticipo sui tempi. I fatti purtroppo gli hanno dato tutti ragione, soprattutto la sua recondita convinzione che lo sviluppo economico avrebbe seguito più la logica del facile profitto economico che del buon senso e della solidarietà tra gli individui. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Balzano lampanti. Si può fare finta di non vedere, ma la realtà è purtroppo sotto gli occhi di tutti nella sua immediata brutalità, nella sua tragica attualità.

L’internazionale proletaria si è realizzata più come globalizzazione di stampo americano, tanto che potrebbe benissimo venir scambiata con l’odierna globalizzazione, imposta dalle multinazionali americane, che trasformano il mondo in un tutt’uno, ma di fatto assomiglia di più al villaggio globale di Mac Luhan che a Marx, si direbbe. Evidentemente i persuasori occulti hanno saputo fare bene il loro lavoro, di manipolazione dell’opinione pubblica, ma i business-men hanno saputo fare veramente bene i loro conti a ben vedere? Alla fin fine il progetto è riuscito poi così bene nei fatti? La società della comunicazione globale è un prodotto veramente così ben riuscito? La new-economy è davvero una realtà valida e solida? La new-economy è economia di relazione, in cui più sei conosciuto e più fai carriera, indipendentemente dai tuoi meriti reali. E si vede. A partire dalla gente che diventa famosa in televisione, e che spesso non ha meriti professionali o talenti artistici tali da giustificare certe carriere fulminee. Fulminanti persino. Rapidissime e fruttifere. Quanto alla qualità ci sarebbe molto da ridire a riguardo.

Quel che è sicuro è che il Grande Fratello va in onda in ben 69 paesi diversi, e questo sì che è un disastro su scala internazionale: la globalizzazione non riesce a divenire un’unione pacifica e civile di popoli e nazioni, ma riesce benissimo ad essere televisione globale, trash tv, ossia spazzatura mediatica, diffusa dall’etere dovunque, cancellando tradizioni secolari, culture diverse, lingue e dialetti. Negli Stati Uniti, hanno tolto i libri del Premio Nobel Ernest Hemingway dagli scaffali delle biblioteche, perché tanto nessuno li legge più, in compenso in tutto il mondo sanno chi è l’ereditiera Paris Hilton, anche se nessuno ha veramente capito per quale ragione sia così famosa a livello planetario. Il nulla diffuso su scala universale.

Il poeta francese Charles Baudelaire nell’Ottocento avrebbe detto, con una punta di disprezzo, le neànt, il nulla, e non per intendere una condizione di momentaneo ozio mentale, o un momento di stasi dal lavoro, ma inteso come condizione di vita connotante e definitiva. Essere il nulla, vivere nel nulla, il nulla-pensiero della società attuale, dove meno sei pensante e più vivi felice e spensierato.

(dal libro Capital Again, Altromondo Editore, capitolo I)

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