Il Movimento Comunità è antifascista, repubblicano, democratico, federalista, cristiano e laico, socialista e personalista. Ma tali caratterizzazioni, se possono servire a situare il Movimento Comunità in un settore dello schieramento culturale e politico italiano, ne indicano la realtà solo in modo generico. L’ azione programmatica del Movimento Comunità esula infatti dai limiti tradizionali della «politica» intesa come rapporto di forze, e si fonda su una diversa moralità sociale: «politica» è per noi la possibilità dell’uomo di armonizzare e sintetizzare esigenze e vocazioni diverse, e azione politica è lo sforzo di creare istituzioni che rendano operante tale possibilità. Politica è rapporto attivo, consapevole, armonioso tra l’uomo e l’ambiente del suo operare quotidiano, e azione politica è la ricerca delle condizioni in cui questo rapporto possa avere vita. Di qui, ad esempio, il grande valore «politico» che ha per noi l’urbanistica. Di qui soprattutto il nostro rifiuto di distinguere tra morale personale e morale politica. Il nostro rifiuto di subordinare i mezzi ai fini. Il rifiuto della violenza se non di fronte alla aperta prevaricazione. La fiducia nella tolleranza come attivo dialogo e non come passiva rassegnazione. Il rifiuto di ogni forma di sfruttamento dell’uomo. Il rispetto assoluto della persona umana.
Dovunque ci sia conflitto, per esempio, tra la macchina e l’uomo, tra lo stato e un ente territoriale locale, tra la tecnica e la cultura, tra la burocrazia e il cittadino, tra l’economia del profitto e l’economia del bisogno, tra l’automatismo e il piano, tra il mero piano economico e il piano urbanistico, tra la città elefantiaca e l’insediamento a misura d’uomo, e infine tra l’ipotetico idillio di una società avvenire e la reale angoscia delle «generazioni bruciate», – noi sapremo immediatamente qual’è la nostra parte. A questa morale personalistica (in cui convergono tutti gli elementi più urgenti della morale cristiana, dell’anarchismo, del liberalismo, del socialismo) noi crediamo sia indispensabile rimanere fedeli se si vuole, dalla profonda crisi del nostro tempo, risalire alla gioia della libertà e all’unità dell’uomo.
Quello che fu chiesto con drammatica evidenza per il mondo comunista, l’habeas animam, non è certamente acquisito nella società capitalistica ed in gran parte degli Stati democratici. I delitti tradizionali del mondo capitalistico, il pauperismo, la disoccupazione endemica, lo sfruttamento in nome del privilegio, si accompagnano oggi in molti stati con una mortificazione crescente della stessa democrazia formale, della libertà di stampa, di riunione, di espressione, con il diminuito rispetto per le minoranze religiose e razziali, ecc.
Noi crediamo di doverci distinguere non solo dai comunisti, ma anche dai socialisti riformisti che accettano passivamente le costituzioni «borghesi», volti solo alla riforma della legislazione economico-sociale e scarsamente consapevoli del valore sociale del diritto come tale; e crediamo di poter opporre, agli uni e agli altri, con molta fermezza, che mèta della lotta politica debba essere la creazione di un nuovo ordine giuridico, istituzionale, che risponda al requisito, perennemente essenziale, di risultare, di volta in volta, fondato su norme certe uguali per tutti.
Il Movimento Comunità accetta l’unità delle forze del lavoro nella lotta contro il privilegio, ma in questa lotta vuol scendere più a fondo di quell’economicismo che (lo si riconosca o no) è ineliminabile nell’impostazione marxistica, in quanto non si tratta soltanto di stabilire a chi sia attribuita la proprietà, ma anche quale sia la distribuzione di potere che essa determina; non crede nel mito della rivoluzione in quanto tale, ma piuttosto ricerca quegli strumenti, rivoluzionari o gradualistici, che arrivano più rapidamente allo scopo, con minor violenza alla libertà e soprattutto con minor confusione tra fini e mezzi; dissente in egual misura sia dai moralisti che pretendono di mutare astrattamente gli uomini prima della realtà sociale, sia dai marxisti che sopravvalutano la priorità del mutamento delle strutture economiche nel processo di rinnovamento sociale; e infine prende a fondamento della propria opera il valore «sociale» del diritto e a propria mèta la creazione di un «ordine» nuovo, ordine giuridico, istituzionale, fondato sul diritto come norma certa. Esso pertanto si pone nella realtà politica contemporanea come una forza operante di «socialismo istituzionale».
Lo stato comunitario, fondato sulla integrazione armonica delle forze del lavoro e della cultura con quelle della democrazia, su una proprietà socializzata e radicata agli enti territoriali autonomi (le Comunità), insisterà sulla tradizionale separazione dei poteri e sul principio di un nuovo integrale federalismo interno, inteso nel senso di equilibrio di autonomie tra periferia e centro. Inoltre esso si porrà il problema fondamentale della rappresentanza politica, non affrontato che parzialmente dalla democrazia politica e risolto invece per eccesso dal regime sovietico. Il suffragio universale dello stato democratico infatti, specialmente in regime di partitocrazia, non dà assolutamente garanzie per la formazione di una classe dirigente politica «aperta», cioè alimentata e provata dal passaggio obbligato attraverso il governo degli enti territoriali minori e di aggregati sociali naturali come scuole, aziende, sindacati.
In verità i mezzi adeguati a raggiungere i nostri fini sono molto complessi e si prospettano in tre fasi distinte ma compresenti :
• organizzazione istituzionale della cultura fondata sul riconoscimento giuridico di istituti culturali specializzati a statuto democratico (Istituti per le Scienze politiche e Amministrative, per la Istruzione e la Educazione, per Urbanistica, ecc.);
• equilibrio dinamico, nell’àmbito delle Comunità territoriali, tra le forze sindacali, gli organi decentrati delle istituzioni culturali e i Centri Comunitari di formazione democratica. Il potere politico sorgerà come sintesi di queste forze (nucleo originario del Potere);
• presenza attiva e coerente, in tutte le fasi del processo costituzionale – ad ogni grado (Comunità, Regioni, Stato) – delle istanze culturali e delle garanzie democratiche.
Si ha in tal modo una concreta integrazione e un superamento del marxismo-leninismo, che affidava la rivoluzione sociale alla diarchia operaio-intellettuale senza tuttavia riconoscere il nesso eterno tra libertà e democrazia né il valore differenziato dei termini giustizia, lavoro, educazione, scienza, né in generale la complicazione della società moderna e quindi dello Stato, il quale abbisogna oggi, per una sua civile esplicazione, di forme istituzionali pluraliste di delicata struttura.
La libertà è garantita quando si stabilisca giuridicamente un nuovo equilibrio tra le forze sociali e spirituali che vivono in uno Stato moderno. Essa non è dunque salvaguardata unicamente dalla separazione e dall’equilibrio dei poteri, ma anche dall’immissione, entro ciascuno degli organi costituzionali che tali poteri esercitano, delle diverse forze sociali e spirituali che caratterizzano uno Stato moderno. Solo così il principio vitale della libertà, che è coesistenza di forze, impregnerà come una linfa, in tutte le sue ramificazioni, il grande albero dello Stato.
II Movimento Comunità vede un elemento di progresso nel fenomeno federativo, sopranazionale. Nel caso poi particolare dell’Europa, una Federazione europea è l’unica risposta democratica coerente ai vari nazionalismi, e anzi l’unica strada per riacquistare alle nazioni d’Europa la qualità di soggetti della storia. Inoltre, l’esperienza dimostra che solo Stati strategicamente forti pongono e risolvono il problema delle autonomie all’interno; e la realtà politica attuale indica che attraverso la battaglia per il federalismo europeo e per una costituente europea si possono individuare e combattere i nemici di ogni struttura federalista e comunitaria, e preparare invece una classe politica non esclusivamente legata ai partiti – che sono poi le cose che a noi interessano di più. La Federazione europea darà all’Europa autonomia e salvezza, ma solo se federazione è intesa nel senso integrale di decentramento assoluto, di autonomia generale anche nei confini degli Stati, di articolazione politica e amministrativa antimonopolistica in ogni senso. In definitiva gli Stati Uniti d’Europa saranno una realtà viva e operante in quanto immediata conseguenza di un comune scopo spirituale e di un assetto politico e sociale nuovo e omogeneo.
Sul terreno della politica interna, il Movimento Comunità, in nome dei principi autonomistici e concretamente liberali esposti sinora, rivolge la sua opposizione contro la partitocrazia. Il partito moderno è uno strumento centralizzato e burocratico che svolge nell’àmbito dello Stato una funzione di sclerosi analoga a quella svolta dai nazionalismi riguardo alla vita internazionale, e costituisce un diaframma artificiale, e spesso oppressivo, tra la realtà sociale e gli organi politici della collettività. Il monopolio della vita politica in tutte le sue fasi ormai assunto dai partiti, suggerirebbe una strada a garanzia dei cittadini: cioè un controllo costituzionale continuo sulla democraticità interna dei partiti. Probabilmente conviene spezzare il monopolio creando una serie di strutture e vincoli costituzionali, che limitino, dall’esterno, i partiti. L’adozione del sistema proporzionale in questo dopoguerra italiano – nel quale la democrazia ha avuto per buona parte il carattere reazionario di una restaurazione, con la responsabilità di tutti i partiti politici e dei loro dirigenti, – si può affermare che abbia avuto effetti non benefici nella nostra vita politica, in quanto ha reso arbitro il partito delle scelte dell’elettorato e addensato i riflettori della propaganda sui dogmi anziché sui problemi e sugli uomini. Alcuni di noi auspicano un ritorno al collegio uninominale con ballottaggio per le elezioni della Camera, convinti che ciò avrebbe un decisivo valore per l’elevazione del livello culturale del Parlamento. La proporzionale riuscì solo in piccola misura a infrangere le clientele meridionali e, attuando un astratto criterio di giustizia, staccò invece il contatto umano, diretto e personale tra il corpo elettorale e la sua deputazione, falsando in tal modo una delle condizioni più preziose della democrazia. Con maggior coerenza di coloro che fanno della proporzionale una questione di principio, il Movimento Comunità ha sempre opposto alla struttura verticale e gerarchica dei partiti la ripartizione del potere, il federalismo interno e l’integrazione ininterrotta di elementi autonomi, comuni, province, regioni, associazioni. Ed ha ben chiaro che un partito non potrà essere che uno degli strumenti, e mai l’unico, per la realizzazione di obiettivi politici. II Movimento Comunità infatti respinge l’interpretazione del partito o dell’azione parlamentare come unico strumento della lotta politica, e fonda tutta la sua azione sulla efficacia politica delle associazioni territoriali autonome, i sindacati autonomi, le forze della cultura.
Oggi i partiti hanno spesso bilanci formidabili e privi di qualsiasi controllo, le loro spese (elettorali e non) raggiungono miliardi, e alle minoranze democratiche è praticamente impossibile affrontare la tempesta e il fragore delle lotte elettorali in condizioni di ragionevole equilibrio. Ora, se è vero che un controllo del bilancio dei partiti è di ipotetica realizzazione e presenta anche qualche difficoltà di principio, è anche vero che i partiti maggiori esercitano nel campo politico una funzione simile a quella che esercitano nel campo economico i grossi monopoli.
Il Movimento Comunità nella sua lotta contro il pauperismo, a favore del pieno impiego, della pianificazione urbanistica, della scuola gratuita, delle borse di studio, dei centri comunitari e culturali, non intende appoggiarsi a determinati gruppi privilegiati naturalmente conservatori che detengono oggi unilateralmente gli strumenti della cultura; ma vuole combattere una battaglia per la cultura e per uno Stato che si appoggi, anche, sulla cultura. Per questa cultura (cultura unitaria, cultura per l’uomo, contro la frammentarietà delle tecniche, e l’unilateralità dei linguaggi specializzati; una cultura in cui sia possibile la sintesi, e in cui risplenda l’amore per la vita), ogni garanzia di libertà deve essere assiduamente cercata.
Sul terreno economico, il Movimento Comunità ha rivolto da tempo il suo interesse verso un’economia pluralista, socializzata e non statizzata, che preveda la trasformazione in enti di diritto pubblico delle industrie chiave e la trasformazione delle altre aziende, sia industriali sia agricole. La proposta di Industrie Sociali Autonome (I.S.A.) e le Aziende Agricole Autonome (A.A.A.), la cui proprietà sarebbe divisa tra Fondazioni tecniche e sociali, regìe industriali degli enti territoriali e infine le comunità di azienda, espressione in forma cooperativa dei lavoratori, sono esempio abbastanza chiaro del pensiero economico del Movimento Comunità, volto verso una socializzazione che tolga al capitale la preminenza nella proprietà dei mezzi di produzione e ogni possibilità di sfruttamento, ma al tempo stesso lasci un certo giuoco allo stimolo dell’economia di mercato.
Mentre quindi da un lato il Movimento Comunità postula per i lavoratori il controllo effettivo delle loro fabbriche ed aziende agricole, si preoccupa dall’altro lato di radicare il più possibile fabbriche e aziende nella vita della Comunità chiamando a partecipare alla proprietà ed alla gestione gli enti territoriali in cui esse operano. Il Movimento Comunità crede nella possibilità di rinascita di un sindacalismo non solo apartitico, ma profondamente autonomo e al tempo stesso non chiuso nell’esclusivo meccanismo della richiesta di aumenti di salari, ma profondamente inserito nel processo economico produttivo; e ciò con la creazione delle Comunità di azienda, corresponsabili dei servizi sociali e della gestione economica: vere anticipatrici e artefici dello schema proposto di decentramento organico e generale che è sola via concreta ed efficiente di reale liberazione delle masse lavoratrici. E solo in tal modo è possibile avviare a soluzione il problema della democrazia di fabbrica, per cui mediante la vigilante responsabilità delle Comunità di azienda e una più larga autorità, entro l’azienda, degli assistenti sociali, si arrivi a quella salvaguardia della dignità umana dei lavoratori che è ancor oggi uno dei diritti più conclamati ma più calpestati e che è invece, anche sul terreno politico-sociale, da garantire urgentemente.
Ma i più gravi problemi della riorganizzazione della vita sociale ed economica non potranno essere visti e risolti che attraverso un’opera di pianificazione generale e particolare, capace di sostituire alle divisioni e suddivisioni, orizzontali e verticali, per cui oggi le funzioni fondamentali dello Stato appaiono frammentarie e disperse, linee e mezzi di azione unitari ed organici. In questa opera di pianificazione occorre che i grandi problemi della vita sociale, e dell’ambiente fisico in cui essa si svolge, siano considerati nelle loro linee più generali al fine di trarne anzitutto i concetti di base, politici, ai quali dovrà conformarsi poi l’intervento operativo.
Poiché civiltà è sintesi di valori etici, economici, scientifici, artistici, nessuna civiltà può aspirare al suo compimento senza un’essenziale condizione: la costituzione di un’autorità capace di operare la sintesi organica delle molteplici attività che modificano incessantemente la forma di una società ancora sottoposta, per la sua incompiutezza, a profondi squilibri. Tale coordinamento non sarà quindi realizzabile che in piccole unità territoriali, sulla scala della comunità concreta. Legato al territorio e fondato sulla stabilità dell’assetto produttivo, il sistema comunitario cellulare sarà dinamico, mosso da forze spirituali, quali la rispondenza alle più generali istanze sociali e l’aspirazione a un costante progresso scientifico. Superando gli schemi della classica economia di mercato, integrandone le finalità di mero reddito con permanenti ragioni di interesse sociale, il sistema garantirà la stabilità delle fonti produttive nell’àmbito della comunità.
Allo scopo sarà indispensabile dar vita a nuovi organismi atti a promuovere una sintesi tra l’economia delle singole unità produttive e le necessità generali del consumo. Tali organismi di coordinamento («Centri Autonomi») saranno, sotto il profilo giuridico, una combinazione fra il trust e la cooperativa, conservando del cartello la caratteristica razionale di centro unitario di distribuzione e assumendo il merito sociale della cooperativa: la sostituzione dell’idea di servizio a quella di profitto. Risalendo la scala dal particolare al generale, la pianificazione inquadra attivamente tutta la vita dello Stato, consentendo di penetrare i problemi della società attuale e disegnando le linee attraverso le quali essa potrà condursi a miglior forma. Fondata sulla comunità concreta, dove si trova la base di incontro e di soluzione di quell’intreccio vivente di problemi che condiziona la nostra società, articolata in una visione integrale delle strutture dello Stato, la forma di democrazia auspicata dal Movimento trarrà la sua forza dalla pianificazione. In tal modo, e al di fuori dei criteri elettoralistici con cui i partiti hanno sinora improvvisato i loro programmi, sarà possibile avviare a duratura soluzione quei problemi che agitano il paese e turbano, nel confuso gioco della «grande politica», una classe dirigente che, nell’incapacità di affrontarli dal profondo, se ne fa strumento demagogico.
Rispetto al problema della scuola, il Movimento Comunità vede le maggiori garanzie di libertà spirituale e di efficienza didattica nella scuola di Stato, di fronte all’eccessivo moltiplicarsi di scuole private, molte delle quali a carattere angustamente confessionale, spesso di dubbia serietà professionale, spesso strumento delle categorie privilegiate. Il Movimento Comunità non si oppone alla più ampia libertà per la scuola privata, purché non finanziata, direttamente o indirettamente, da fondi statali.
Per avviare a soluzione il problema della cultura nella democrazia che i partiti politici, ormai divenuti puri strumenti di ideologia, si sono dimostrati incapaci a risolvere, ogni iniziativa in senso decentrativo (cooperative scolastiche, biblioteche popolari, ecc.) è vista con favore dal Movimento Comunità; ma si deve porre una pregiudiziale molto netta. Il problema vero non è tanto quello di «divulgare» la cultura, di operare uno spostamento della cultura tradizionale a favore delle classi popolari; bensì quello, ancora non affrontato se non da esigui gruppi isolati, di una cultura moderna, capace di operare efficacemente nella società in cui viviamo e di contribuire alla chiarificazione dei suoi problemi economico-sociali. In questo àmbito, tra la scuola e il mondo del lavoro esiste oggi una frattura profonda e irragionevole che deve essere sanata. Come è stato detto, «accanto all’umanesimo classico si deve formare l’umanesimo moderno». E nell’annosa querelle tra scuola formativa e scuola informativa ci pare si debba concludere per l’autentica scuola di libertà: che vuol dire capacità di azione autonoma nel proprio ambiente.
Il Movimento Comunità si batte per una politica economica di pieno impiego, per una riforma tributaria impostata sulla tassazione esercitata sul reddito e non sul consumo, per una politica edilizia inquadrata in una integrale politica di pianificazione urbana e rurale, per una politica di difesa del consumatore, quindi a favore delle cooperative, dei piccoli consorzi, delle iniziative locali contro i mastodontici consorzi politici burocratizzati, e così via. Per una vita politica a misura d’uomo e più vicina ai suoi reali bisogni.
Ho letto con interesse il vostro programma, che se avesse possibilità di essere applicato rivolterebbe l’Italia come un calzino.Ma resta sempre e solo un programma che allo stato non ha nessuna sponda politica necessario per una sua concreta e graduale applicazione.Quindi primo sarebbe la creazione di un partito atto allo scopo, che non si confonda con nessuna paraideologia corrente, tutte fallimentari, ma che non presti il fianco a nessun giudizio di incasellamento reazionario.Non trascurando di preservare sempre come nella idea di Adriano, l’iniziativa singola, sempre che sia creatrice di giustizia sociale.
Per gli Stati Federali d’Europa, i popoli delle varie nazioni, non sono ancora pronti, e parafrasando gli antichi padri della patria, abbiamo fatto l’Europa ora dobbiano fare gli europei (e di tempo ce ne vorrà ancora molto).
Ma, come sempre, importante è mettere un seme nella terra, prima o poi germoglierà e speriamo che a raccogliere i frutti siano le persone giuste.