– di GIOVANNI TORRISI
1. Le regole che vengono proposte e imposte da Bruxelles non sono “neutre” e neppure finalizzate a “rimanere nella comunità Europa”. Sono regole fatte a uso e consumo degli stati più potenti. Rispecchiano un certo modo di fare business e di organizzare il lavoro e la vita. Per esempio promuovendo una moneta relativamente debole, rispetto alle considerazioni strutturali di paesi come la Germania.
2. Le “riforme” richieste dalle Troike (per brevità) sono tutte finalizzate ad uno spostamento liberista dell’orizzonte di riferimento europeo. Così quando scrivo compressione dei diritti dei lavoratori, mi riferisco al potere negoziale sempre più ridotto nei confronti del capitale, stipendi che si comprimono, e di conseguenza un potere d’acquisto che, di giorno in giorno, si riduce. Il sorgere dei cosiddetti contratti spazzatura o minijobs, e delle assicurazioni private per la salute. Tutte “riforme” che cancellano diritti come quello alle ferie, alla salute, allo stipendio corrispondente al lavoro svolto, alla pensione. E potrei continuare a lungo. Con una compressione del welfare obbligata che è ovvia e scontata in una prospettiva thatcheriana, ma che dovrebbe far accapponare la pelle a chiunque, pur lontanamente, voglia sentirsi a sinistra (altro che spese militari).
3. Ci si è ficcati in una situazione in cui i paesi membri NON possono più scegliere né la politica economica (stretti dai patti di stabilità) né quella monetaria (che viene decisa da un organismo tecnico come la BCE).
4. La logica vorrebbe che ci fosse un indirizzo politico comune europeo, magari democratico, che servisse a orientare l’orizzonte di senso del continente unito. Così da apportare le necessarie redistribuzioni di risorse e programmare una divisione funzionale delle attività in Europa. Tutto ciò dovrebbe essere fatto tenendo in mente L’INTERESSE COMUNE EUROPEO e da istituzioni politiche (se non democratiche).
In questo contesto, non potrebbe essere possibile mandare in default un paese membro, così come non è possibile espellere la Sicilia da sistema Italia. O la California (che già andò in default) dagli Stati Uniti.
Questa situazione avviene IN TUTTE LE PARTI DEL MONDO IN CUI C’E’ UNA MONETA COMUNE DI SUCCESSO, cioè che non sia finita nell’oblio o in guerra civile.
5. Come conseguenza dei punti precedenti, ci si ritrova invece in un contesto in cui alcuni paesi (nord Europa, per brevità) beneficiano dell’attuale status quo, anche attraverso prestiti interessati a tassi di interesse gonfiati. Mentre altri paesi (i PIIGS, acronimo da cui è facile evincere lo spirito con cui i vari attori si siedono ai tavoli) stretti da un’austerità che non scelgono, vincolati da norme fatte a beneficio di altri, ed impossibilitati a fare politica economica e monetaria a loro utile, patiscono.
Tra i PIIGS (sempre per brevità, e riferendomi alle classi dirigenti, non ai paesi in sé) c’è una ulteriore divisione. C’è chi abbozza. Ansiosi di “fare i compiti”, e risultare i primi della classe. Così la Spagna di Rajoy (ma non quella di Podemos) e l’Italia di Renzi. C’è chi invece sta cercando di proporre un’Altra Europa. Un’Europa che ricordi la lezione dei padri costituenti e si fondi su solidarietà e istituzioni democratiche. Come, appunto Tsipras in Grecia. Ma non, per esempio, Samaras.
Imporre a questi paesi altra austerità significa soltanto condannarli ad una infinita depressione economica. E alla povertà perenne. E su questo sono d’accordo tutti gli economisti. I migliori economisti. Non i contabili dell’Europa del nord, certo, interessati a difendere uno status quo che li avvantaggia.
6. Come ulteriore conseguenza dei punti precedenti, è assurdo imputare a Tsipras, che governa da 5 mesi, la responsabilità di un eventuale default greco e di una crisi che è del sistema-Europa prima di tutto. Non ha proprio senso. Se anche lui avesse fatto nei 5 mesi in carica tutte “le riforme” di cui al punto 2, e che non voleva fare per ovvi motivi ideologici e perché essenzialmente negativi per l’economia della Grecia, si sarebbe soltanto allungata l’agonia. In uno o due anni ci si sarebbe ritrovati (ci si ritroverà) esattamente al punto di partenza, con un’altra crisi euro-greca. Proprio perché le ricette imposte SONO SBAGLIATE.
Le riforme che è necessario fare sono quindi prima di tutto europee e sono strutturali ed istituzionali.