di VALENTINA PENNACCHINI –
Che l’Italia non sia un Paese per giovani – di figli se ne fanno sempre meno e quelli che ci sono se ne vanno – è ormai risaputo, ma il “Bel Paese” non è nemmeno un posto per vecchi. Pensioni a parte (meglio andarsene in Portogallo) la sanità è quello che è o meglio quello che una classe dirigente senza colore – in senso politico e non solo – vuole farla diventare; il cancro della burocrazia poi, alla faccia della semplificazione amministrativa sbandierata a destra e a sinistra e mai attuata, avvelena la vita di tutti e colpisce ancor di più gli anziani. I vecchi (non solo purtroppo) muoiono. E’ una legge di natura. E’ invece legge – e in questo la natura c’entra poco – tutto ciò che comporta morire soprattutto per chi resta, specie se c’è un immobile di mezzo. Andiamo a narrare per sommi capi l’epopea della pratica per la successione di una povera vedova residente nel comune di Urbino.
La prima tappa è il sindacato: la via più economica. Alla signora viene consegnato un prestampato indicante i documenti necessari per istruire la pratica. Una bella lista densa di cose da fare e di uffici da visitare. Non importa che sia la prima e unica casa e che sia in comunione dei beni: deve pagare. Carte alla mano, frutto di lunghe file in Comune, in banca, al catasto ecc., la povera settantenne torna al sindacato per la consegna e attende una chiamata. Dopo quindici giorni il sindacato le comunica gli importi da versare: 517 euro circa in banca (con agevolazione prima casa) e 437 per la pratica, questi ultimi da pagare dopo esser passata all’ufficio delle entrate del comune di residenza con 3 marche da bollo da 16 euro ed aver effettuato un versamento di euro 12.40 tramite F24 in triplice copia consegnato dall’ufficio delle entrate. Totale 1.014 euro circa (non male per una pensionata e per una casa – non una villa – in comunione dei beni).
Seconda tappa: banca. Il male minore: paghi e con la ricevuta ti spediscono all’ufficio delle entrate che però guarda caso è stato trasferito in una frazione ad alcuni chilometri (6 per la precisione) dalla città di residenza.
Terza tappa: Ufficio delle entrate. Un posto comodo… con i mezzi pubblici soprattutto perché dalla fermata dell’autobus c’è da fare un bel tratto di strada a piedi e per di più in salita; l’ideale con le temperature di questi giorni specie per un’anziana signora. Dopo aver consegnato la documentazione e compilato l’ennesima domanda la poveretta viene spedita a pagare l’F24 in posta.
Quarta tappa: ufficio postale. Dov’è la posta? “Vicino! Un Km”, ma coi mezzi pubblici neanche a parlarne perché non si sa quando passano e dove fermano. Meglio a piedi… tutto lungo la trafficata strada provinciale e sotto il sole cocente. Il ritorno è in salita tanto poi all’ufficio delle entrate c’è il condizionatore a -15. Tutta salute!
Quinta tappa: ufficio delle entrate. Dopo l’ennesima fila (ogni volta bisogna munirsi di numero e aspettare il proprio turno) la signora deve produrre un’altra domanda in marca da bollo e le viene restituito un documento da consegnare in banca per sbloccare i pochi spiccioli sul conto corrente cointestato e bloccato da mesi.
Sesta tappa: banca. Ultima fila. Missione compiuta.
No! C’è l’ultima tappa, la settima: sindacato. La povera donna paga il sindacato e consegna gli ultimi documenti felice di esser sopravvissuta alla “pratica darwiniana”.
Ogni commento è superfluo. L’Italia non è un paese per giovani, non è un paese per immigrati e nemmeno per vecchi. Ognuno può definirlo come meglio crede.
(Valentina Pennacchini)