Terza parte del prologo del libro di Laura Langone su Nietzsche filosofo della libertà: l’eterno ritorno e la “dialettica” dell’uomo liberato (Übermensch)

Nel momento in cui l’uomo decide di accettare la visione della realtà dell’eterno ritorno della volontà di potenza, di vedere tutto ciò che esiste e quindi anche se stesso come volontà di potenza, si trasforma nel superuomo capace di rinascere dalle ceneri della morte di Dio e vivere spensierato come un fanciullo in un mondo senza più alcun fondamento stabile. Si tratta di una decisione difficile, che passa per un cammino tortuoso e pieno di insidie, ma un cammino necessario se vuole ottenere la piena libertà. Una volta detto sì alla realtà come volontà di potenza, da schiavi del tempo che eravamo seguendo le prescrizioni della morale, ne diventiamo padroni.

La morale abbraccia una concezione lineare del tempo per cui ogni istante non ha in sé il suo senso ma in altro da sé, negli istanti futuri, allo stesso modo in cui la vita sulla Terra non ha alcun significato, ma è un mero momento di passaggio in attesa di vivere la vita vera accanto a Dio in un futuro lontano. L’uomo è già da sempre nato peccatore e per tutto il corso della sua esistenza terrena deve portare sulle spalle il fardello della colpa del peccato. Deve vivere nell’atroce consapevolezza di essere una creatura immonda, non può cambiare la sua natura, non può cancellare il passato colpevole, la redenzione arriverà forse un giorno nel regno dei cieli se sulla Terra seguirà i dettami della morale. L’uomo che vive secondo morale è un uomo schiavo del tempo, un uomo impossibilitato a trarre il massimo di ricchezza dalle situazioni positive o negative che si presentano, perché bloccato dalla consapevolezza di un passato colpevole. Ogni volta che accade un evento, si comporta sempre allo stesso modo, ovvero come quell’individuo la cui identità è data dalla colpa, come un individuo condannato a essere per sempre colpevole, condannato ad agire in un certo modo e a non poter fare altrimenti. Non riesce a vivere l’evento per quello che è di per sé senza lasciarsi influenzare dalle colpe passate, ma lo vive con gli occhi del colpevole, ripete sempre lo stesso atteggiamento e al cambiare delle circostanze ottiene sempre lo stesso risultato: la miseria di una vita vissuta da peccatore. La teoria dell’eterno ritorno della volontà di potenza conduce al risultato opposto, libera finalmente l’uomo dal fardello del passato colpevole. Se la morale abbraccia una concezione del tempo lineare, per la teoria dell’eterno ritorno il tempo ha un movimento circolare. La conseguenza di ciò è che ogni istante ha in sé il suo significato, non rinvia ad altro che a se stesso, in sé è già un evento pieno di senso. Non vi è né passato né futuro, ogni momento è un tempo a sé stante, isolato da tutti gli altri momenti. Non vi è un momento privilegiato – la vita futura dell’aldilà rispetto alla vita presente sulla Terra – ma ogni momento è privilegiato, ogni momento è buono per vivere. L’uomo che dice sì all’eterno ritorno della volontà di potenza impara a vivere sfruttando al massimo ogni momento per la propria crescita personale, in ogni momento si innalza al di sopra del tempo senza lasciarsi influenzare da eventi passati e aspettative future. Vive ciascun attimo come se fosse una vita a sé, un’occasione per un’ulteriore crescita personale, vive tante vite quanti sono gli attimi in cui si pone al di sopra del tempo. Come un fanciullo che quando gioca pensa solo a sé e al gioco senza curarsi di tutto il resto che gli accade intorno, così egli vive ogni istante come se esistessero solo lui e questo determinato istante. In tal modo ogni istante viene vissuto al massimo, diventa una vita da vivere pienamente come se non ce ne fossero altre. Ecco che dalla disperazione per la mancanza dei valori – dicendo sì all’eterno ritorno – l’uomo passa alla gioia fanciullesca per una vita vissuta pienamente in ogni istante.

Oltre a modificare la nostra etica portandoci a vivere il tempo in una maniera completamente diversa rispetto a come l’abbiamo sempre vissuto in secoli di dominio morale, vi è un altro modo in cui la teoria dell’eterno ritorno della volontà di potenza ci consente di vivere a pieno la nostra esistenza. Ciò avviene nella misura in cui l’eterno ritorno è anche una teoria della conoscenza: esso ha anche un significato gnoseologico oltre a quello etico come teoria dell’agire nel tempo e quello ontologico come teoria dell’essere. Il pensiero dell’eterno ritorno ci consente di conoscere la realtà terrena che calpestiamo quotidianamente dopo secoli in cui questa stessa realtà era stata negata in nome del regno di Dio. La storia dell’uomo dimostra che siamo spaventati da ciò che non conosciamo, dall’ignoto e questo ignoto ci atterrisce talmente tanto da paralizzarci, rendendoci incapaci di compiere qualsivoglia azione. Man mano che impariamo a conoscere la realtà, ogni cosa – da oggetto misterioso dinanzi a noi che sembra stare lì per distoglierci da ogni azione – viene da noi assimilato, viene a far parte di noi stessi, del mondo che riconosciamo come nostro. Nel momento in cui le cose diventano parte del nostro mondo, acquisiamo una padronanza di esse in virtù della quale riusciamo a porle a nostro vantaggio, di farne materia per la nostra crescita personale. Più conosciamo, più diventiamo padroni del mondo, più ci sentiamo a nostro agio per dedicarci a noi stessi. Ecco in che senso la conoscenza ci consente di vivere a pieno l’esistenza: solamente in un mondo che sentiamo come nostro, possiamo sviluppare al massimo tutte le possibilità del nostro essere.

La conoscenza del mondo a cui la teoria dell’eterno ritorno dà origine è una conoscenza post-metafisica. Per la metafisica, la realtà – lungi dall’essere un divenire impercettibile – è qualcosa di stabile, e la sua conoscenza si ottiene mediante concetti altrettanto stabili. La realtà è perfettamente conoscibile e i concetti sono in grado di riprodurla fedelmente. I concetti principali della metafisica sono quelli di sostanza, causa e scopo, categorie fisse che valgono per sempre e che rispecchiano la realtà così com’è, senza lasciare nulla di inspiegato. Contrariamente a quanto sostiene la metafisica, l’essere non è definito una volta per tutte, ma è un continuo divenire, è il costante autosuperamento come volontà di potenza. In quanto muta continuamente, non può essere conosciuto tramite concetti fissi. Nel momento in cui i concetti colgono un suo aspetto, è già diventato qualcos’altro, è un incessante trapassare da un opposto nell’altro. Ecco quindi che il metodo della conoscenza della metafisica è fallace: da principio è impossibilitato a condurre alla conoscenza dell’essere perché si serve di concetti fissi che negano il suo divenire. L’essere è l’eterno ritorno della volontà di potenza come continua creazione di valori, e per conoscerlo dobbiamo vivere noi stessi come un eterno ritorno, ovverosia come uno specchio dell’essere. Ciò vuol dire guardare alle cose da innumerevoli prospettive, creare un’interpretazione e poi ritornare a noi stessi per crearne un’altra e così via. Come l’essere è contraddittorio, un continuo trapassare da un opposto nell’altro, così dobbiamo vivere contraddittoriamente, dobbiamo guardare alle cose da punti di vista tra loro opposti. Questo significa incarnare temporaneamente dei valori per poi passare ad altri, vivere provvisoriamente secondo determinate modalità di vita per poi sperimentarne altre. Ecco che la conoscenza post-metafisica è profondamente radicata nella vita, è il risultato dell’esperienza di molteplici modalità di vita. Nello sperimentare diversi punti di vista sul mondo, da una parte espandiamo la nostra personalità in quanto viviamo tante vite, e dall’altra impariamo a conoscerlo. A differenza della conoscenza metafisica, questa conoscenza non è perfetta, non restituisce fedelmente l’essenza del mondo. Il divenire della volontà di potenza è infinito e – imitandolo – possiamo solo ottenere una conoscenza approssimata di esso, possiamo solo avvicinarci a cogliere la sua essenza ma mai esaurirla del tutto. Più interpretazioni creiamo, più viviamo contraddittoriamente e più ci avviciniamo all’essere, ma non saremo mai in grado di rispecchiarlo perfettamente dato che esso – in quanto infinito – straborda sempre ogni nostro tentativo di coglierlo definitivamente, è sempre oltre. La capacità di conoscere il mondo nel senso post-metafisico è strettamente legata alla decisione etica di sbarazzarsi dalla visione metafisica del mondo per abbracciare quella dell’eterno ritorno della volontà di potenza. Solo in quanto diciamo sì all’eterno ritorno, possiamo vivere come un eterno ritorno e così aspirare a una conoscenza seppur approssimata del reale. Nel dire sì all’eterno ritorno, l’uomo si trasforma dal leone vittorioso sulla morale al superuomo libero di vivere secondo valori che lui stesso crea a partire da sé. Vivendo una vita all’insegna della provvisorietà delle prospettive da adottare, il superuomo si rivela filosofo, colui che dedica la sua vita alla ricerca della conoscenza.

Le tre metamorfosi da cammello a leone e da leone in fanciullo segnano le tappe di un tragitto che l’uomo deve necessariamente percorrere per ottenere la piena libertà. La libertà compiuta e non quella illusoria della metafisica passa attraverso la necessità, è da questa implicata. Ciò è visibile in maniera emblematica nella fase della massima libertà, quella del superuomo. Per poter uscire dalla disperazione della morte di Dio, l’uomo deve necessariamente accettare la visione dell’eterno ritorno della volontà di potenza. A sua volta l’eterno ritorno della volontà di potenza descrive una realtà necessaria, una realtà che è necessario autosuperamento come continua creazione di valori. La massima libertà del superuomo è data dalla riproduzione in noi stessi di questa realtà necessaria: siamo liberi nella misura in cui aderiamo alla nostra essenza necessaria come volontà di potenza, vivendo nella continua creazione dei valori. Che la necessità ponga le condizioni per la libertà è un pensiero che potrebbe essere stato ispirato in Nietzsche dal filosofo e poeta americano Ralph Waldo Emerson, il quale in un suo saggio dal titolo Fato aveva spiegato che «sembra una contraddizione, ma la libertà è necessaria» (R.W. Emerson, Condurre la vita, a cura di A. Nieddu, Aragno, Torino 2008, pp. 15-16). Il tema emersoniano della coincidenza tra libertà e necessità è la trama invisibile su cui Nietzsche sviluppa il suo pensiero. Egli prende le mosse dalle riflessioni di Emerson per poi elaborarle in maniera del tutto originale. Spesso Emerson si limita a fornire delle brillanti intuizioni che però rimangono quasi sempre in uno stato embrionale. Sarà Nietzsche a sviluppare fino in fondo tali intuizioni e a dare loro una profonda statura filosofica. A 17 anni legge i libri di Emerson Saggi: prima serie (1841), Saggi: seconda serie (1844), e Condurre la vita (1860). Da questo momento in poi questi testi lo accompagneranno per tutto il corso della sua esistenza, fornendo spunti preziosi per le sue riflessioni filosofiche. Circa venti anni dopo il primo incontro fatale, nel 1882 redige un quaderno di estratti dai Saggi e nel 1888 – l’anno prima di morire – così si confessa: «Emerson, con i suoi saggi è stato sempre un buon amico per me e mi ha rallegrato anche nei momenti neri. […] Un caso unico… Sin da ragazzo gli prestavo ascolto volentieri» (F. Nietzsche, Sämtliche Werke. Kritische Studienausgabe in 15 Bänden, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. XIV, De Gruyter, Berlin-New York-München 19882, pp. 476-477, citato in B. Zavatta, La sfida del carattere. Nietzsche lettore di Emerson, Editori Riuniti, Roma 2006, p. 40). L’influenza di Emerson su Nietzsche si lascia percepire sia per quanto riguarda il tema della coincidenza tra necessità e libertà che per le conseguenze che da tale concezione derivano. La presenza di Emerson – seppur discreta – è costante in tutto il pensiero di Nietzsche. È a lui che Nietzsche attinge per sviluppare una teoria del sé per cui il carattere non è qualcosa di già dato da sempre come sostiene la metafisica ma qualcosa che diviene, su cui possiamo lavorare al fine di esprimere tutte le potenzialità del nostro essere; è lui ad ispirargli la concezione di una vita all’insegna della sperimentazione che andrà a costituire il cuore della sua filosofia, ponendo le basi per lo sviluppo della teoria dello spirito libero e del superuomo, è su un’intuizione emersoniana che Nietzsche elaborerà la sua teoria dell’eterno ritorno gnoseologico aprendo alla possibilità per una rinnovata conoscenza del mondo dopo che questa sembrava impossibile, seppellita per sempre sotto le ceneri della morte di Dio.

(fine)

Laura Langone, Nietzsche: filosofo della libertà, Edizioni ETS, 2019

http://www.edizioniets.com/scheda.asp?n=9788846754790

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...