di Isabella Senatore –
Sulla copertina di un famoso rotocalco femminile c’è un bel volto di donna, un’attrice, con titolo: Tizio è sopravvissuto al cancro. Dunque tizio, anzi tizia, è un personaggio famoso ed è sopravvissuta ad un cancro. Benissimo, e dunque? Mi viene da immaginare titoli del tipo: Caia è sopravvissuta alle emorroidi, o Sempronia è sopravvissuta alla morte del figlio. Certo le emorroidi non sono paragonabili ad un cancro ma la perdita di un figlio non è paragonabile a nient’altro dunque? Se una donna è sopravvissuta ad un cancro sono felicissima per lei ma questo non significa che se mi verrà un cancro anch’io sopravviverò, dunque qual è la morale della favola? Cosa ci vuol dire o suggerire quest’articolo?
Mettere in bella vista i propri mali mi sembra un’altra malattia dell’epoca. Una volta ad una festa a casa di amici – quella che gli americani del nord definirebbero un party – una ragazza giovane e carina dopo pochi minuti dalla presentazione ci tenne a informare me e gli altri due astanti di sesso maschile che aveva appena avuto un intervento di isterectomia totale dovuta ad un cancro. Pensavo che certe conversazioni si svolgessero solo nei libri inglesi tipo alla Woodehouse o E.J. Howard e invece no, eccoci qui nella Milano degli anni 2000 alle prese con una poveretta così disperata da voler condividere con dei perfetti estranei la sua disgrazia.
Ora mi chiedo: cosa spinge queste persone a voler comunicare al mondo i propri malanni? E i giornali a divulgare tali strabilianti notizie? D’altronde tutti sappiamo che in una certa percentuale si sopravvive al cancro, anche se dipende dal tipo. È vero: io non ho avuto un tumore e spero di non averlo mai, ma mi chiedo se nel caso farei lo stesso. Non credo, ma posso sbagliarmi, il punto però non è questo. Il fatto è che la morte e la malattia ci fanno così tanta paura da non poterle sopportare sotto nessuna forma e tutto è lecito per esorcizzarle. Dunque ecco gente eroica sopravvissuta al cancro… Di solito però queste persone guarda caso sono famosi scrittori, attori o scienziati o semplicemente ricchi sfondati e famosi solo per quello, quindi che loro siano sopravvissuti al cancro ci fa molto piacere ma se lo stesso cancro venisse a me probabilmente morirei perché non ho a disposizione stuoli di medici e riserve inesauribili di denaro per pagare cure costosissime in cliniche esclusive.
Allora mi chiedo perché invece i giornalisti non scrivano cose del tipo: “Fatima è sopravvissuta ad anni di stenti, soprusi e violenze, ha rischiato di affogare insieme al suo figlioletto al largo della Sicilia ma grazie ad una straordinaria forza d’animo ce l’ha fatta, è riuscita ad arrivare in Italia dove finalmente può mantenere dignitosamente la sua famiglia, benché raccolga pomodori per 12 ore al giorno spaccandosi la schiena sotto il sole e la paghino 3 euro al giorno, e ogni tanto la frustino e la violentino, ma cosa volete che sia in confronto a quello che pativa prima. Questa sì a mio parere è una storia a lieto fine, ma se state pensando che non è poi tanto lieto questo finale, perché la donna non può vivere una vita dignitosa essendo sfruttata ogni giorno e seviziata di frequente, vi risponderò che tutto è relativo perché se la signora X ricchissima bellissima e destinata sicuramente all’immortalità è felice di essere sopravvissuta ad un cancro e dunque si sente di nuovo pronta ad aspettarsi il meglio dalla vita, dobbiamo ben pensare che per una povera vittima della tratta degli esseri umani, una donna che ha subito qualsiasi orrore pur di salvare suo figlio, avere una vita di merda di sfruttamento quotidiano sia praticamente come la vita di lusso della signora che ha sconfitto il cancro. Dunque la morale della favola è, in questo mondo ipocrita, che queste due donne sono delle vincitrici; peccato che la seconda meriterebbe molto di più di stare sulla copertina di un giornale perché lei ha sconfitto un male ben più orribile del cancro: la miseria assoluta, a cui noi occidentali, malati di cancro o sani, non sopravviveremmo neanche un giorno, e l’ha fatto senza neanche un dollaro in tasca.