di Leonardo Marzorati –
I socialisti e comunisti possono anche scendere in piazza con le “Sardine” o con altri movimenti democratici, ma mantenendo saldo il proprio ideale e cercando di convincere sempre più cittadini, meglio se provenienti dai ceti popolari, ad abbracciare la lotta contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
In tutta Italia il movimento delle Sardine riempie le piazze. I cittadini che scendono in piazza spontaneamente vanno rispettati, ma il messaggio lanciato da chi queste manifestazioni le ha organizzate va analizzato. La richiesta principale, a cui poi sono state aggiunte la lotta al razzismo e al fascismo, è un NO secco ai linguaggi politici aggressivi. Le Sardine nascono in occasione del comizio di Matteo Salvini al Paladozza di Bologna per lanciare la candidatura di Lucia Borgonzoni a governatrice dell’Emilia Romagna. La loro contromanifestazione fu un successo e da lì in tutta Italia i piccoli pesci marini si sono moltiplicati, riempiendo piazze da Nord a Sud, con una concentrazione maggiore proprio in Emilia Romagna, con un messaggio implicito di sostegno al candidato governatore del PD Stefano Bonaccini. Se il popolo delle Sardine è complessivamente eterogeneo, seppur dominato da una maggioranza di area PD e cespugli limitrofi, i leader sono quasi tutti riconducibili al partito di Nicola Zingaretti. Non servivano le schedature messe in atto dal periodico neofascista “Primato Nazionale” per far chiarezza su Mattia Santori e soci.
La spontaneità di molti cittadini scesi in piazza non ci deve nascondere un’organizzazione a stretto contatto con gli ambienti eredi del vecchio Ulivo. Molti degli organizzatori delle manifestazioni hanno difatti avuto ruoli politici attivi nel centrosinistra. Alcuni intervistati presenti in piazza si sono dichiarati liberali di destra o moderati, accumunati agli altri dall’avversità verso i toni demagogici di Salvini e degli esponenti delle destre nazionaliste. Tra le sardine non mancano socialisti e comunisti, questi però sono osservati con grande diffidenza dai leader del movimento, preoccupati che le loro manifestazioni possano essere etichettate come “troppo a sinistra”. A Firenze i leader cittadini delle Sardine hanno persino allontanato un manifestante dalla piazza, reo di aver portato con sé una bandiera rossa con la falce e martello. Ai diversi manifestanti con le bandiere della Ue ovviamente non è stato detto nulla. A quanto pare, lo stendardo rosso con il simbolo dei lavoratori alle Sardine piace molto meno delle 12 stelle, che oramai identificano più i tecnocrati di Bruxelles che non i popoli europei.
Tra le Sardine sono presenti i ceti popolari? Sì, anche se una buona fetta di piazza è borghese. Lo stesso messaggio principale (antirazzismo e antifascismo dovrebbero essere nel DNA di ogni cittadino italiano) fatica ad attecchire tra gli sfruttati. A chi vive in condizioni di povertà e di frustrazione personale è difficile chiedere un linguaggio pacato. Tanto è vero che il linguaggio aggressivo di Lega e Fratelli d’Italia ha attecchito tra i ceti popolari delle periferie e della provincia. L’odio è stato nella storia linfa per i movimenti socialisti e comunisti. I partiti anticapitalisti hanno saputo incanalare un odio generalizzato e tramutarlo in odio di classe. Chi è sottomesso odia, è fisiologico. Facile dire “no all’odio” a chi vive in un relativo benessere. Molto più complesso dirlo a chi fatica a pagare un mutuo o vive in una condizione di lunga precarietà. Si può odiare, l’importante è odiare i veri oppressori. Le destre nazionaliste hanno orientato l’odio dei ceti meno abbienti verso altri poveri, gli immigrati (irregolari e regolari). Per darsi un’aurea populista e quindi contigua alle classi subalterne, hanno aggiunto un affronto, più verbale che altro, contro i “poteri forti”, dalla Ue alle banche, passando per i miliardari che finanziano le Ong. Se una fetta di popolo odia, spetta a socialisti e comunisti convogliare questo rancore verso i veri nemici: capitalisti, tecnocrati italiani ed europei, élite culturali asservite ai due pensieri dominanti (liberal e neo-nazionalista).
Chi è socialista o comunista è per forza di cose antifascista. Molti fascisti del regime mussoliniano, Duce compreso, provenivano da esperienze socialiste, ma la loro trasformazione in braccio armato della grande industria del Nord e dei ricchi latifondisti del Sud li ha resi incompatibili e ostili al socialismo. Noi socialisti e comunisti possiamo cantare “Bella Ciao” quando ci pare. La possiamo cantare noi come le sardine, in quanto siamo entrambi sinceri democratici e antifascisti. I leader delle Sardine invece non possono cantare nostre canzoni come Bandiera Rossa o L’Internazionale, trovandosi su posizioni filo-liberiste e filo-capitaliste.
Se da un lato non ci si deve confondere con le Sardine, dall’altro non si devono sposare tesi settarie. Come scriveva Lenin, «l’estremismo è una malattia infantile del comunismo». Bisogna osservare con diffidenza gli estremisti di oggi, specie nella galassia socialista e comunista. Marco Rizzo ha intrapreso una legittima strada estremista, lui che da parlamentare di Rifondazione Comunista prima e dei Comunisti Italiani poi diede l’appoggio ai governi Prodi, D’Alema, Amato e ancora Prodi. Sui social Rizzo sembra più interessato ad acchiappare like, spesso provenienti da persone visceralmente anticomuniste e non propense a votare PC, che non consensi elettorali. Capita di leggere spesso frasi tipo «Grande Rizzo, non ti voterò mai perché sono di destra, ma condivido quello che dici». Quello che dice il segretario del Partito Comunista sono il più delle volte attacchi alle forze bollate come “sinistrate”: Pd, quel che rimane di LeU, M5S e perfino partiti sinceramente marxisti ma che fanno concorrenza al suo. Il partito di Rizzo in origine si chiamava Partito Comunista – Sinistra Popolare. Il termine Sinistra è stato poi curiosamente rimosso. Si può apprezzare il tentativo donchisciottesco di Rizzo di ricreare all’alba degli anni 20 del XXI secolo un partito staliniano ispirato al PCI degli anni 40 del XX secolo. Il PC non ha né Berlinguer né Togliatti, ma Pietro Secchia come modello. Isolarsi come l’Albania di Enver Hoxha oggi può piacere a un nugolo di nostalgici, ma non può essere un modello di lotta politica efficace. Rizzo si pone così fuori dal sincero tentativo di varie forze politiche, più o meno grandi, di creare un’alleanza elettorale in nome del socialismo, con primo fine quello di ottenere seggi parlamentari. La lotta per il socialismo, in una repubblica parlamentare come la nostra, deve passare dagli scranni di Camera e Senato.
Le forze politiche estremiste non sono poche. Tutte quante però, eccetto il già citato Partito Comunista, raggruppano poche decine di militanti. Come nel celebre sketch in cui Corrado Guzzanti imitava Fausto Bertinotti, la deriva di molti partiti comunisti e socialisti radicali è di scindersi in tanti microorganismi. I socialisti e i comunisti dovrebbero invece presentarsi sotto una sola bandiera e un solo simbolo, nonostante i diversi percorsi che hanno vissuto dirigenti e militanti. Una sola bandiera e un solo simbolo, per poter sfidare le destre che oggi spadroneggiano: sia le destre nazionaliste, sempre più forti e più pericolose che mai, sia le destre liberaldemocratiche, ringalluzzite dal movimento delle Sardine e dalla possibile vittoria del loro candidato Stefano Bonaccini in Emilia Romagna. Serve una solida alleanza socialista. Alle prossime elezioni regionali non ci sarà nulla di tutto ciò. In Calabria le forze socialiste e comuniste non parteciperanno nemmeno alla competizione elettorale. In Emilia Romagna la contesa sarà tutta tra i candidati delle due destre (nazionalista con Borgonzoni e liberaldemocratica con Bonaccini). I 5 Stelle sono molto deboli, ma peggio di loro sono messe le forze della sinistra popolare, presenti con tre liste rivali, tutte destinate a raccogliere le briciole lasciate dai candidati principali. Partito Comunista, Potere al Popolo e L’Altra Emilia Romagna (ennesimo pavido tentativo di Rifondazione Comunista di nascondere nome e falce e martello, quasi se ne vergognasse) sono destinati a magri risultati. Dopo le regionali in Umbria Rizzo esultò per aver preso l’1%, contro lo 0,9% preso dal candidato di PaP e Pci.
I socialisti e i comunisti devono tornare a ragionare come Nenni e Togliatti, non come Bordiga, e cercare di ottenere maggiori consensi tra i lavoratori. I maestri socialisti divergevano su strategie e obiettivi da raggiungere, ma sia i riformisti come Filippo Turati sia i massimalisti come Giacinto Menotti Serrati lavoravano per ottenere il maggior consenso possibile tra i ceti popolari. È un lavoro arduo, ma va affrontato, passo dopo passo. Questo penso sia un passaggio obbligato per gli eredi di una storia che nacque nel XIX secolo e che oggi ha ancora molto da dire.