da l’Espresso – di Marco Paolini
L’ex premier inglese è morta a 88 anni. Nei suoi undici anni di potere, insieme a Ronald Reagan, ha cambiato il mondo. In peggio, mettendolo al servizio del Dio Mercato. Il ricordo amaro di un autore teatrale
Sembra che l’economia stia scivolando verso la “virtualizzazione”. E non parlo solo della grande finanza, parlo della trasformazione dei cittadini in consumatori che solo acquistando beni e servizi, scarpe e wellness, emozioni e vestiti, possono far crescere il Pil. Alla ricchezza virtuale corrisponde un impoverimento sostanziale. Siamo un po’ tutti miserabili, culturalmente più che economicamente, perché abbiamo scelto di abdicare ad ogni scelta per affidare al Mercato i progetti per il nostro futuro.
Così è nato, qualche tempo fa, il mio spettacolo “Miserabili”. Non una analisi di teorie economiche, e si confronta con le persone e con il loro rapporto con l’onnipotenza del Mercato. L’interlocutore invisibile era lei, la signora Thatcher. Sì, proprio la “rivoluzionaria” Maggie, che ha inventato il superamento delle classi sociali dicendo: la società non esiste più, siamo tutti solo “uomini donne famiglie”. Ovvero consumatori. Di energia e di benessere, di libri e di vacanze, di automobili e di hamburger. E siamo tutti investitori, ancora prima che risparmiatori.
D’altra parte, se il buon samaritano non avesse avuto un budget per le spese impreviste, chi si ricorderebbe di lui? E allora è bene compiere buone azioni, ma soprattutto comprare buone azioni! Le buone azioni non hanno mai ucciso nessuno, così disse Gesù tornando nel tempio a chiedere scusa ai Mercanti secondo il vangelo di Maggie Thatcher.
E’ la finanza creativa, che è cresciuta come un tumore scommettendo sulla teoria per cui tutto si può vendere e comprare.
E noi? Cosa siamo noi? Consumiamo e investiamo da soli. Siamo individui senza una comunità alle spalle. Così, soli tra soli, ci siamo scoperti inadeguati davanti alla crisi che ha investito l’economia globale. E io mi sono trovato a dover ripensare “Miserabili”, con i problemi che molti pronosticavano divenuti realtà. Ci siamo chiesti: è tardi? Siamo troppo oltre per poter riparare ai danni?
La legge dell’entropia ci dice che indietro non si torna. Credo però che oggi dovremmo rifondare una cultura della manutenzione. Perché è inutile mitizzare i “bei tempi andati”. Non credo nelle oasi, ma preferisco i luoghi che abitiamo e che dovremmo cercare di rendere più vivibili.
Il 9 novembre 2009 – la sera in cui abbiamo scelto di collocare la diretta di “Miserabili” su La7 – era l’anniversario ventennale dalla caduta del Muro di Berlino. E’ un momento che ha segnato la storia. Quella data per molti nuovi europei dell’Est, così come per la gente dell’ex Unione Sovietica, significa lo spartiacque tra il prima e il dopo, ovvero l’avvento di quel grande luna park che è il Mercato. Solo che oggi, di là, molti si chiedono se la cuccagna del Mercato non sia troppo invadente. A noi invece manca quel momento di passaggio tra il prima e il dopo. Con Berlino 1989 noi abbiamo proseguito sulla via tracciata dalla coppia Thatcher-Reagan dal 1979: la via del Mercato.
Ho chiesto alla Lady di Ferro: lo sa che, di tutto quello che passa in un giorno alla Borsa, l’1 per cento si investe davvero, mentre il resto si passa di mano, domani riprende a girare? Non mi ha risposto.
Così abbiamo pensato di portare la diretta di “Miserabili” nel porto di Taranto. In quel posto è come a Marghera, vicino a dove vivo io: di sera sembra Blade Runner. Siamo sul tacco dell’Italia. E non siamo nemmeno sulla terraferma. Siamo in mezzo ai container su una piattaforma che si allunga sul mare. Da una parte c’è il porto, la porta dell’Europa dalla quale entrano le merci dall’Oriente. Dall’altra c’è l’Ilva, icona della old economy, quella economia pesante che oggi sembra in via di estinzione. Insomma, siamo in mezzo ai mondi in movimento, siamo in un punto focale per l’economia del Sud e nell’area dove si registra la maggiore concentrazione di agenti inquinanti d’Europa (anidride carbonica, ma anche diossina).
Taranto è un nodo di contraddizioni ed è, forse, lo specchio dell’universo che ci ruota attorno. Però non abbiamo scelto Taranto perché è un simbolo, una città-porto, un’area industriale dalla storia controversa. L’abbiamo scelta perché volevamo scendere a Sud, rovesciando la prospettiva. Volevamo provare a guardare dal mare la crisi che colpisce la terra. Che colpisce il Nord Europa come l’Africa, la Svezia come la Bolivia, il Veneto, la Puglia e il Canada. E provare a interrogarci. Possiamo fare un po’ di manutenzione di questo nostro mondo? Ho il dovere di sperarlo e di esser contagioso, a questo serve la cultura. L’unico modo di combattere la paura di tanti è costruire speranze non solo per pochi. Di speranze parlano anche economia e politica, ma spesso sono previsioni che se non succedono generano delusioni.
Non sono un illuso e anche se la politica (e l’economia) spesso mi hanno deluso, non credo si possa farne a meno. Però degli illusionisti in economia e in politica si può fare a meno, basta imparare a riconoscerli. Credere nell’Enalotto non è coltivare una speranza, ma affidarsi a una probabilità assurdamente piccola . Quando Reagan diceva: «Voglio un paese in cui per tutti ci sia la libertà di diventare ricchi», sapeva che offriva a ciascuno le probabilità dell’enalotto. La speranza venduta al mercato è roba che scade subito e fa male. E’ importante non lasciar manipolare le parole. Il teatro può ridare significato, a condizione di essere credibile e comprensibile. La speranza e la paura non sono esclusive, ma coinvolgono trasversalmente. Solo che la paura è passiva, la speranza va coltivata. Questo è secondo me il senso del Nobel per la pace a Obama: un riconoscimento a chi incarna una speranza per tanti e un monito a chi pensa che si possa fare senza la politica. La paura è un componente essenziale della nuova miseria, con l’intolleranza e la solitudine.
Un destino da cui non si esce da soli. La società così inutile alla signora Thatcher diventa la speranza per affrontare questa miseria che non dipende dal portafoglio pieno o vuoto.
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Da Contropiano di Luca Fiore
Se ne va la ‘lady di ferro’, cambiò la politica. In peggio
E’ scomparsa oggi alla veneranda età di 87 anni Margaret Thatcher. Fu primo ministro per un decennio e la sua politica sconvolse la Gran Bretagna e il mondo intero.
Se n’è andata Margaret Thatcher, la “lady di ferro” come fu ribattezzata per la durezza e inflessibilità della sua politica. Quando si muore si diventa tutti dei santi, è ovvio. Ma a tutto c’è un limite, e ricordare gli aspetti positivi della lunga stagione politica dominata dall’inquilina di Downing Street tra il 1979 al 1990 è davvero difficile, se non impossibile. Alla luce di ciò che sta avvenendo oggi in Europa certamente la leader reazionaria britannica può essere ritenuta una precorritrice di ciò che il convento avrebbe passato qualche decennio più tardi in tutto il continente e non solo: precarietà, disoccupazione, autoritarismo, guerra, liberismo selvaggio.
Ma naturalmente i coccodrilli che quotidiani e agenzie di stampa stanno pubblicando in questi minuti ricordano altro, e non possono fare a meno di incensare una leader politica che indubbiamente cambiò la politica, nel suo paese ma anche nel resto del mondo, in peggio.
La ‘migliore’ ricostruzione del personaggio finora è questa dell’Ansa:
Addio alla Thatcher, cambiò politica e società
di Patrizio Nissirio (ANSA) – Margaret Thatcher, morta oggi all’eta’ di 87 anni, è stata una delle figure politiche più osannate ed odiate della storia contemporanea britannica ed internazionale, capace di incarnare il ruolo di condottiera del conservatorismo come nessun altro, dopo Winston Churchill, rivoluzionaria che fece a pezzi lo stato sociale del dopoguerra, anticomunista senza cedimenti. E proprio per questo é stata una delle figure più detestate dalla sinistra internazionale. L’era della Lady di Ferro iniziava il 4 maggio del 1979 quando la Thatcher, vittoriosa leader conservatrice alle elezioni politiche, entrava nella residenza del premier britannico a Downing Street, dove sarebbe rimasta fino al 1990. Un periodo in cui avrebbe preso un Paese depresso rispetto al resto d’Europa come il Regno Unito, e lo avrebbe trasformato in senso liberista, creando grandi ricchezze e sviluppo economico, ma anche profonde disparità sociali. Nata il 13 ottobre del 1925, da anni era ormai una fragile signora anziana, malata, che si vedeva pochissimo in pubblico ed entrava regolarmente in ospedale. Ma al culmine della sua vita politica, con i suoi modi bruschi al limite della rudezza, Thatcher diede vita a una rivoluzione conservatrice che – in parallelo a quanto faceva Ronald Reagan negli Stati Uniti – svecchiò brutalmente lo stato sociale della societa’ britannica, aprendola a un’economia ultraliberista e competitiva che anche i laburisti di Tony Blair hanno difeso, in alcune parti. Una svolta, dicono i suoi sostenitori ancora oggi numerosi, che ha offerto piu’ opportunita’ a tutti, oppure – affermano i suoi detrattori – una serie di scelte che hanno reso molto piu’ marcati i fossati economici tra ricchi e poveri nel Regno Unito, con conseguenze anche sui valori sociali e solidaristici di cui molti oggi lamentano la fine in Gran Bretagna. Per la sinistra, Margaret Thatcher rimane soprattutto il premier che negli anni Ottanta mirò alla distruzione – ed ebbe successo – dei sindacati, a partire dalle potenti organizzazioni dei minatori nel drammatico scontro del 1984-1985, privatizzando le miniere di carbone, cuore del processo energetico britannico. Privatizzazione fu anche la parola d’ordine per le aziende pubbliche di vario tipo, mentre mano libera veniva data alle imprese, in particolare in termini di licenziamenti ed assunzioni. Il risultato, accanto ad una super-flessibilita’ di tipo ‘americano’ del mercato del lavoro, con pochi eguali in Europa occidentale, fu anche uno sviluppo tumultuoso dell’economia nazionale, che torno’ a crescere dopo una lunga stagnazione. Singolarmente, per una conservatrice, vide l’inizio della fine con l’introduzione di una controversa tassa ‘sulla cittadinanza’, la poll tax, che suscito’ una violenta opposizione e avvio’ il suo tramonto politico nel 1989. In politica estera, Thatcher (che nel 1984 scampo’ a un attentato dell’Ira contro il suo hotel a Brighton) ebbe in Reagan il suo alleato di ferro: a parte le similitudini in politica economica, entrambi furono ferventi anticomunisti. Nel 1982 la Lady di Ferro mostrò la sua tempra sulla scena mondiale, quando invio’ la Royal Navy, la Marina militare britannica, contro l’Argentina che aveva invaso le isole Falkland-Malvinas. Grande amica del dittatore cileno Augusto Pinochet, nel 2001 aveva suscitato non poche proteste quando critico’ il suo arresto da parte della magistratura britannica, definendolo ”un amico” e colui che aveva ”riportato la democrazia in Cile”.
Un ritratto abbastanza completo, per essere quello di un’agenzia di stampa ufficiale quale è l’Ansa, per quanto tendenzialmente bipartizan. Amata e odiata, dice giustamente l’autore del pezzo. Certamente non amata dal popolo irlandese che soffrì una delle più tremende repressioni nella storia dell’occupazione britannica dell’isola, e non certamente apprezzata dai prigionieri politici dell’Ira e di altre organizzazioni repubblicane che persero la vita nei lager britannici in Ulster per affermare i propri diritti e quelli del proprio popolo. Apprezzata certamente poco anche dai minatori che, rei di voler difendere il proprio posto di lavoro e la propria dignità assaggiarono, oltre al ‘ferro’ delle sue politiche turboliberiste, anche il legno dei bastoni della sua polizia. E molto altro ci sarebbe da raccontare. Ma per ora godiamoci il momento…
