di PIETRO INGRAO –
Non riesco a sottrarmi alla passione del ricordo, a tornare sulla battaglia di Lelio Basso, su ciò che conobbi di lui e su ciò che da lui appresi. E non stupitevi se, ricordando quanto devo all’amico carissimo, ciò che prima di tutto mi piace ricordare è quello che io e tanti in questo paese abbiamo avuto da Lelio come conquista della libertà. Io sono molto avanti negli anni e posso dire che uno scrupolo grave mi prende se ripenso a ciò che ho vissuto, al secolo che ho attraversato; ed è che noi che vivemmo quegli anni, noi figli di questo secolo, non abbiamo forse raccontato abbastanza la carneficina attraverso cui siamo passati, le cataste di morti, le città incendiate, la tortura elevata a scienza, i morti di Auschwitz e infine la paura folle che avemmo che Hitler potesse diventare il padrone del mondo.
Lelio Basso è stato un uomo che ci ha educato in quegli anni durissimi e ci ha aiutato a conquistare la libertà; ci ha aiutato ed educato a resistere, a combattere anche quando (davvero!) tutto sembrava ormai perduto… E ci ha aiutato a capire che la libertà del nostro tempo non aveva nutrimento e contenuto vero se non penetrava là, nel luogo della modernità prorompente, nella grande fabbrica capitalistica del ’900.
Lelio spingeva a una lettura creativa della forza nuova della soggettività proletaria che ormai, nel nido della produttività novecentesca, veniva crescendo e dispiegandosi, facendo dure ma grandi esperienze. Non a caso l’autore di Lelio era Rosa, l’affascinante e sfortunata lettura che la Luxemburg faceva del movimento operaio in lotta contro la cappa delle burocrazie partitiche e, peggio ancora, contro lo stalinismo.
Ricordo il titolo di un libro di Basso: Il principe senza scettro. Noi lo leggemmo con passione ed anche in quel titolo c’era un’idea sua di liberazione di energie, una scommessa sul proletariato di cui andava indagando appassionatamente le culture, le esperienze, le innovazioni compiute sul campo e anche le dure sconfitte nei vari ambiti e paesi d’Europa; e tutto ciò con testarda convinzione internazionalista: poiché questa fu in lui la coscienza delle dimensioni ormai trascinanti – globali, si dice oggi – che assumeva la società capitalistica, e i fondamenti umani che essa metteva in causa.
Devo confessare che io provo una certa esitazione e scrupolo nell’usare queste parole così alte, così impegnative: i diritti umani. Il diritto è parola antica ma anche vilipesa. I diritti riferiti alla condizione umana si può dire siano diritti a ciò che essa ha di specifico e di inalienabile; a ciò che richiede, prima di diventare realtà, una battaglia straordinaria e inflessibile. E diritto umano diventa anche, mi sembra, un’invenzione, la costruzione cioè di nuove condizioni di vita; più ancora: di nuovi termini di relazione fra esseri umani e fra sessi e fra popoli. E soprattutto – ci avrebbe ricordato subito Lelio – là nel luogo del lavoro sociale, in quelle condizioni che oggi sono vilipese per milioni di creature di questo globo, per interi popoli; si potrebbe dire, se solo guardiamo per un istante all’Africa, per un intero continente. Qui interviene il mio dubbio su cosa sia, o possa essere, l’umano; e se l’uso stesso di questa parola per certe persone che pure chiamiamo cittadini, non suoni, oggi, purtroppo, come irrisione o come labile e fuggente sogno.
Lelio Basso spese una vita per tentare risposte concrete a queste difficili domande sul diritto e sulla connessione con l’umano. Pur essendo sempre uomo di minoranza, cercò l’unità, ed era in ciò la sua felice irrequietezza, quel suo spingersi un passo più avanti anche dopo la sconfitta. Lelio conobbe anche sconfitte amare ed io ricordo bene quel suo socialismo, eretico ma di antiche radici, che credeva prima di tutto nella creatività della classe e del mondo subalterno, il primo soggetto al quale egli affidava la scoperta delle nuove, complesse letture dell’umano a cui dare il volto e il potere del diritto.
E’ bello che questa battaglia continui, ora che i processi di globalizzazione del sistema capitalistico aprono questioni inedite di emancipazione e liberazione dal lavoro e noi, in questo turbinoso equivoco, andiamo prendendo aspra coscienza delle nuove frontiere che i diritti debbono raggiungere: avanzata coscienza dei mutamenti presentati dalla differenza femminile, dal lacerante rapporto di dominio dell’uomo sulla natura e infine dalle inquiete domande che si affacciano da quell’evento decisivo e fragile che è il generare, il compiersi della vita umana.
Io temo la dura frantumazione del nostro agire, proprio per l’intreccio che hanno gli eventi con i colpi recati all’unità e alla forza del movimento di classe. Siamo oggi di fronte – e dobbiamo dircelo con franchezza – a un grave, disperante processo di dispersione che si compie in seno alle masse popolari, con fenomeni persino di lontananza e di incomprensione. Ritengo urgente una rimozione di questa distanza, di questa frantumazione che ci fa deboli. Certo, è un lavoro che richiede una forza analitica, una tematizzazione elaborata e quindi suppone un ragionamento che ancora non si è depositato con chiarezza fra noi e su cui è forse difficile una condivisione anticipata. Però attraverso un confronto metodico e prolungato io credo che potremmo vedere e misurare le differenze di schemi di lettura e di impianti teorici che ancora esistono fra noi.
Credo che questo sarebbe il modo migliore per ricordare l’amico Lelio Basso. Ricordo il suo sorriso un po’ scettico, quasi a smorzare continuamente l’enfasi; ma quel sorriso non cancellava la straordinaria carica di speranza che egli aveva e metteva in campo.