di CINZIA FICCO –
Un libro sul coraggio, perché nella nostra epoca posteroica, della virtù tanto cara agli antichi greci non è rimasta traccia alcuna. L’ha scritto Diego Fusaro, nato a Torinonell’83, ricercatore di Storia della Filosofia presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, con la casa editrice Raffaello Cortina. Si intitola, appunto Coraggio e va letto in parallelo con l’altro testo, fresco di stampa, dello stesso autore, che si intitola Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo, edito da Bompiani. La tesi del docente è semplice: oggi, a parte qualche eccezione, non esistono tipi coraggiosi. L’uomo contemporaneo, che vive sotto la dittatura del mercato, è doppio, ambiguo. Più affascinato dalla conquista del potere, del denaro, che dalla verità, è incapace di atti eroici. Non conosce e non pensa alla verità, rapito dalla brama del voler-avere-di-più. Ma quale verità? Quella dell’armonia e della misura, che proponevano gli antichi greci. Quelli, sì, che erano coraggiosi! Cioè, dotati di quella personale e soggettiva virtù virile, che trovava nel campo di battaglia la propria “scena originaria”. Non a caso le più belle teorie del coraggio sono elaborate dal pensiero greco, da Platone ad Aristotele.
Il coraggio, per il docente, altro non è che il luogo in cui rifulge la libertà di chi sceglie di agire malgrado tutti i rischi, anche la paura, che indurrebbero ad agire altrimenti o, semplicemente, ad optare per quell’inerzia che, alleata della viltà, rappresenta uno degli opposti della fortezza. Figlio sia dell’audacia incontenibile di Achille, sia di quella mediata di Odisseo, il “coraggio della verità”, come lo chiama Foucault, è anche l’essenza dell’impresa filosofica e del “dire di no” della critica, da Socrate a Bartelby, da Fichte a Marcuse. La filosofia è, per sua vocazione, coraggio, l’energia pratica di chi cerca la verità e in suo nome dice di no al potere nelle sue concrete manifestazioni.
Ma cosa significa “essere contro”? Per Fusaro ha un solo senso: avere il coraggio dell’indocilità ragionata, non dei colpi di testa o degli atteggiamenti estremi, della propria dissonanza rispetto all’esistenza, ma anche della volontà di delineare diversamente la morfologia del reale in opposizione alle logiche conservative del potere e al comune pathos adattivo che accetta il mondo non perché sia buono o giusto in sé, ma perché per inerzia, assume che non possa essere altro da quello che è.
In questo senso molto interessante è l’ultima parte, intitolata: “Defatalizzare il mondo”. Che richiede la virtù della parresia, capacità di dire la verità, e della prassi. Dell’azione coerente con la teoria. Scrive Fusaro: «Oggi la critica, anche nelle sue forme apparentemente più eroiche, è sempre permessa dal potere e, anzi, incentivata (la sua presenza contribuisce a far apparire flessibile e tollerante la dittatura dei mercati), purché si muova nell’orizzonte dell’intrascendibilità del presente e dell’impossibilità del perseguimento di futuri alternativi». Il vero coraggio, allora, svela sempre la sua incancellabile traccia pratica, rimandando all’agire di chi opera per opporsi alle cose come sono e per riconfigurarle altrimenti.
Ritiene che il “grillismo”offra un’alternativa autentica? Fusaro risponde: «Il Movimento 5 stelle è solo un inganno, un tentativo finto di uscire da determinate logiche, una sorta di opposizione a sua maestà il Capitale, che, per avvalorare la propria natura di totalitarismo flessibile e di dittatura morbida, esibisce e, di più, incentiva critiche grandiose e, insieme, programmaticamente sterili e in effettuali». E allora? «Nell’attuale congiuntura posteroica – scrive ancora – la parresia non basta a fare il coraggio, ancorché ne costituisca un elemento irrinunciabile:il sistema di cui siamo abitatori, infatti, non ha più bisogno di incatenare, torturare e sopprimere i testimoni di verità incompatibili con le logiche del potere,poiché oggi, per un verso, l’idea stessa di verità viene delegittimata sotto i colpi del relativismo assolutizzato e, per un altro, il legame su cui si fonda la nostra convivenza sociale non presenta più alcun contenuto religioso o filosofico, ma si regge unicamente su una fitta rete di connessioni mercantili incardinate sulla nuda logica del valore di scambio: una rete che può, appunto, agevolmente tollerare le idee diverse (facendole circolare liberamente sul mercato, come tutte le altre merci), perché esse sono del tutto ininfluenti rispetto all’unica realtà rilevante rimasta, ossia l’economia feticizzata in modo totalitario».
Ma allora la soluzione sta in un controllo democratico più consapevole? E ancora, la prassi è rivoluzione? E chi è il coraggioso oggi? Per il filosofo non ci sono dubbi. Il coraggioso nella nostra epoca è chi non solo dice no al potere, ma anche chi si muove in modo concreto, dimostrando che il mondo non è immutabile. Dice Fusaro, riprendendo la grammatica di Fichte e modificando un celebre asserto di Heidegger: «Solo un Io ci può salvare, defatalizzando il Non Io e agendo coraggiosamente per sottrarlo alle logiche insensate dell’illimitatezza, a cui l’ha condannato il fanatismo dell’economia di un mondo che ha smesso di credere a Dio per consegnarsi alla fede cieca nel Mercato.Il coraggio, dunque, come forza, non rivoluzionaria, non estrema, in grado di imporre un nuovo ordine al mondo, quindi di smascherare l’immodificabilità dell’esistente». Un esempio concreto ce lo offre ne I Promessi Sposi di Manzoni, il personaggio di Frate Cristoforo, a cui fa da contraltare quello di Don Abbondio, più vicino per Fusaro a quello di chi in tempi di crisi si toglie la vita.
È chiaro, al cosiddetto “spirito di scissione”, tanto caro a Gramsci, deve essere affiancata la forza di smetterla di dire “cosi è”. Il coraggio oggi è la capacità di far intravedere la speranza, di riaprire futuri alternativi in nome dei quali agire negli angusti confini dell’oggi.
«Con le parole della fichtiana Missione del dotto – scrive Fusaro- la realtà dovrebbe essere giudicata a partire dagli ideali e modificata da coloro che sentono di essere capaci. Più in alto della realtà sta la possibilità: per tradursi in atto, essa necessità di quella libera energia pratica, di quell’inizio assolutamente libero, operante malgrado tutto che abbiamo chiamato coraggio. Facere Aude ! E’ questa la sfida che l’epoca della globalizzazione impone alla nostra virtù».
Ma allora il coraggioso è solo il filosofo, dotato della capacità di rischio assoluto? E gli altri, la stampa, per esempio? «Non tutti i filosofi – replica il professore – sono coraggiosi. E pressoché tutti i giornalisti sono asserviti ai poteri forti». Per il docente tutti i media sono espressione di un regime. Del regime. Quello imposto dal monoteismo del mercato, il cui principale comandamento così recita: “non avrai atra società all’infuori di questa!”.
Come si fa allora a sperare? La guida per cambiare secondo il docente sta solo nella misura proposta dall’antica Grecia. Un ritorno all’ideale normativo di “giusta misura” come criterio in nome del quale criticare la dismisura, a cui ci condanna ilcapitale – la produzione illimitata e fine a se stessa, a discapito della vita dell’uomo e del pianeta – e in nome del quale, con coraggio appunto, riprogrammare praticamente la sintassi dell’esistente.
E il ministro Corrado Passera, che di recente al Sacro Convento dei Francescani di Assisiha proposto un accostamento ai valori del francescanesimo come soluzione alla crisi economica, non è un tipo “coraggioso”? «Sinceramente non credo – afferma – a queste uscite ad effetto, del tutto vuote. Quello che conta è riprendersi un mondo in cui la politica torni ad avere il primato sull’economia, in cui lo Stato disciplini i meccanismi del mercato e li ponga al servizio della comunità umana: insomma, l’esatto opposto di quanto accade nell’odierno fanatismo cieco dell’economia, che sottomette ogni cosa al movimento insensato di valorizzazione del capitale».
Ama Hegel, ma auspica il ritorno ad uno Stato etico di hegeliana memoria? «Dipende da cosa si intenda – risponde – con questa espressione, di per sé scivolosa: non certo a uno Stato di tipo totalitario. Se però per Stato intendiamo una struttura politica forte in grado di disciplinare l’economia e di far valere anzitutto l’interesse della comunità umana, allora ben vengano lo Stato di Hegel e quello di Fichte!».
Per lei solo la filosofia ci salverà, la filosofia come luogo di possibile resistenza eroica al nichilismo della forma merce? «Credo – conclude – che la filosofia, il coraggio della verità, sia il necessario punto di partenza. Di là bisogna partire, non c’è soluzione alternativa». E lei si considera un tipo tosto, coraggioso? «Ci provo – conclude – Molto tosto considero Costanzo Preve, probabilmente il più grande filosofo vivente, puntualmente ghettizzato dal coro virtuoso degli intellettuali organici al capitale».