di CINZIA FICCO –
«Per essere sinceri oggi occorre essere dei tipi proprio tosti. Ma può essere un eroe anche chi non dice la verità». Parola di Andrea Tagliapietra, docente di Storia delle idee, Storia della Filosofia moderna e contemporanea ed Ermeneutica filosofica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita – Salute San Raffaele di Milano, che ha scritto di recente un libro, intitolato Sincerità, Raffaello Cortina Editore. Nel testo, duecento pagine, il docente scrive: «L’io sincero è un io in durevole conflitto, che non si fa addomesticare dal potere, né con la forza, né con la seduzione della spontaneità del volere avere di più. L’io sincero è quello che sa negare e resistere all’impatto mimetico della forza e della persuasione della società». Ma facciamoci dire qualcosa di più dall’autore.
Dunque, professore, cosa significa essere sinceri e quanto è faticoso oggi esserlo?
Esser sinceri non significa soltanto dire la verità (o meglio ciò che si crede essere la verità) sul mondo o su un fatto o un atto che ci riguarda e che ci vede come protagonisti o testimoni. La sincerità, infatti, implica l’autotestimonianza, ossia l’adesione personale a ciò che si dice e si fa come modo del conoscersi e del manifestare se stessi agli altri. La sincerità diviene così la virtù costitutiva dell’individuo.
E cioè?
Non si diventa individui, se non si cessa di voler essere come gli altri, in conformità agli altri, desiderando, invece, di essere pienamente se stessi e di essere riconosciuti come tali dagli altri. Questo è un processo faticoso e doloroso, che costa.
Perché?
Perché tale processo oggi ci mette in aperto contrasto con una società che fa dell’imitazione del desiderio – in primis del desiderio di consumo – il principale veicolo del rapporto sociale, che ormai è ridotto al doppio imperativo del vendere (vendersi) e del comprare (comprarsi). Resistere a questo doppio imperativo significa avere il coraggio di dir di no al conformismo e, insieme, avere la pazienza, la costanza e, direi, l’insistenza nel perseguire una propria via all’esistenza personale, senza cadere nella trappola, che lo scenario contemporaneo spesso ci propone, offrendoci, nella moda come negli stili di vita, nell’organizzazione del tempo libero e dell’intrattenimento, quello che potremmo chiamare il “conformismo dell’anticonformismo”. Sì, per essere sinceri, oggi, bisogna essere dei tipi proprio tosti.
Ma esistono secondo lei oggi soggetti sinceri in questo senso o i tentativi di sincerità sono fittizi e quindi fanno parte di un “teatro dai ruoli e dalle parti rigidi”, prefissati? Si pensi all’outing di molti vip nelle trasmissioni televisive. Loro dicono quello che ci aspettiamo. E’ così?
L’outing dei “vip”, come del resto il modello di “sincerità” dei “reality show” e di coloro che fanno proprio il motto “tanto non ho nulla da nascondere”, rientrano in quello che abbiamo appena chiamato il “conformismo dell’anticonformismo”, che spaccia comportamenti apparentemente “spontanei” quali affermazioni della propria più profonda identità. Tuttavia non è poi così difficile accorgersi che si tratta di condotte, che rientrano nella categoria del “vendersi bene”, in quella che potremmo chiamare una forma neppure troppo velata di autopromozione.
Come provarlo?
La prova è che, come nelle riviste di “gossip” (ma anche nelle pagine più cliccate dei grandi quotidiani on line) nulla di quello che leggiamo ci sorprende veramente. Questo riguarda, non a caso, i “vip” intesi come gente di spettacolo (attori, calciatori, ecc.) e, da qualche tempo, i politici (o almeno una parte di essi), ossia categorie per cui l’autopromozione è una questione vitale.
Chi e cosa le fa pensare e dire che oggi ci sia la possibilità di essere “autenticamente” sinceri? Diego Fusaro sempre su Tipi Tosti ha fatto capire che in politica anche la resistenza e l’opposizione di Grillo non sono sincere. In ogni caso chi oggi brilla per sincerità e in quale settore?
Sincerità e coraggio, sincerità e costanza, sincerità e fedeltà, si implicano, perché le varie virtù della tradizione etica occidentale, nel mondo contemporaneo, divengono facce di un’unica virtù, quella che presiede alla formazione dell’individuo come alcunché di unico ed irripetibile, responsabile di se stesso e differente da tutti gli altri. Per quanto concerne la resistenza e l’opposizione di Grillo credo che si potrebbe rovesciare la domanda in questo modo…
Quale?
…Oggi, chiunque non si opponga e non resista attivamente o passivamente alla deriva eurocratica (il volto regionale-continentale del capitalismo globale) che sta distruggendo la vita degli individui e delle popolazioni europee per mezzo dell’assolutizzazione simbolica del denaro (esiste solo ciò che è valutabile in termini di compravendita, di debito e di credito) è oggettivamente in malafede. Pertanto la domanda non riguarda Grillo, in quanto non è stato ancora messo alla prova nella sua effettiva capacità di dir di no all’eurocrazia e alle sue capacità corruttive e manipolative.
E quindi?
La domanda riguarda gli altri. Come possono essere in buona fede? Come si può chiedere il voto dei cittadini e poi tradirne il mandato così profondamente? Il problema è evidente in Grecia, in Spagna, in Italia, ma anche, a ben vedere, in Germania, dove i parlamenti sono costretti a votare rapidamente provvedimenti di cui non conoscono neppure il contenuto specifico. Del resto, i tempi dei cosiddetti mercati costringono la discussione democratica all’unico modello del silenzio-assenso, ossia al totalitarismo dei tecnici. Se il comunismo del XX secolo è stato definito anche la “barbarie dal volto umano”, la tecnocrazia degli eurocrati è “barbarie senza volto”, che nasconde i suoi diktat spietati dietro gli indici azionari e lo spread.
Altra curiosità. Quanto siamo sinceri sui social network?
La sincerità – non la veridicità e la veracità, che sono rivolte potenzialmente a tutti e hanno una natura essenzialmente esteriore – è un fatto di corpi, di presenze e di prossimità, ovvero di distanze limitate. La sincerità non deve né può rivolgersi a tutti, anonimamente, genericamente.
Ci faccia capire!
Posso e devo scegliere, selezionare, cercare una possibile reciprocità e quella che
potremmo chiamare un’intimità. Chi è sincero non vuol apparire, vuol esser compreso e comprendere, vuol fare esperienza dell’interiorità. La sincerità cerca l’amico e/o l’amante, non sopporta l’affollamento dei grandi numeri. Oltre un certo numero di persone non ci sono più amici e, forse, neppure semplici conoscenti. Le neuroscienze hanno formulato l’ipotesi che il cervello umano non possa gestire più di un centinaio di rapporti personali. La mia impressione è che, alla fine, i social network siano delle vetrine dell’ “io” che favoriscono principalmente l’esibizionismo e il narcisismo. Possono diventare, dunque, la testimonianza virtuale e reale di grandi solitudini.
Ci fa un esempio di persona sincera e uno di persona autentica? E’ più difficile essere sinceri? E l’autenticità è da considerarsi più una forma di coerenza con se stessi?
Con l’inizio dell’età moderna autenticità e sincerità si implicano sempre più strettamente tra loro. Ma mentre la sincerità continua a conservare in primo piano il suo aspetto relazionale, ossia il suo descrivere un atteggiamento che si rivolge agli altri, che ha bisogno degli altri, l’autenticità è, appunto, una forma di coerenza verso se stessi e con se stessi. Di conseguenza essa prevede la possibile rottura del “patto” fra l’individuo e la società.
Chi è l’autentico?
L’autentico è spesso ribelle. È il “genio e sregolatezza” tipici della figura dell’“artista”. È Caravaggio o Van Gogh, “il suicidato della società” come lo chiamava Artaud. Invece, il sincero è in equilibrio, persegue, come si diceva prima, la conciliazione con l’esteriorità e il tono minore dell’intimità amicale, anche se possiamo coglierne i risvolti eroici in figure maggiori, quali, per esempio, quella di Gandhi e, in genere, nel tipo dei “maestri spirituali”.
Quando è meglio non dire la verità? Lo diceva anche Sant’Agostino: “La verità genera odio”.
Credo che uno degli obiettivi del libro sia quello di dimostrare l’insostenibilità dell’automatismo della verità, sostenuto dai fautori della veridicità assoluta come Kant e, in qualche misura, Agostino e oggi diffuso dai molti “moralisti”, “retori della verità”, della scena contemporanea. In questo modo, infatti, la verità deresponsabilizza l’individuo e lo lascia nella sua immaturità.
Cosa vuole dire?
Se sono responsabile di me stesso posso e devo scegliere e, di conseguenza, la bugia
in certe circostanze “crudeli” può essere più “sincera” della verità, che non mi costa nulla. Insomma, accanto all’eroismo di colui che rischia per dire e testimoniare la verità, c’è anche quello di colui che ha il coraggio di mentire per non dire la verità, per impedire che la verità danneggi o perda la nostra umanità. Si pensi a coloro che, mentendo, hanno salvato vite umane o consentito a semplici possibilità di diventare reali, cambiando lo stato delle cose per tutti.
Un personaggio su cui si sofferma parecchio è Amleto, che contrappone a Falstaff e a Iago. Perché?
Amleto, sulla soglia del XVII secolo, incarna l’individuo che dice “io ho dentro ciò che non si mostra” e annuncia lo sfondo della dialettica fra individuo e società, che caratterizzerà l’età moderna. Amleto siamo tutti noi, mentre solo a volte e solo alcuni possono trovarsi ad essere Falstaff o Iago. Se ha ragione il grande critico americano Harold Bloom nel sostenere che Shakespeare, con i personaggi dei suoi drammi, in qualche modo “ha inventato” l’individuo così come noi lo conosciamo e lo riconosciamo, Amleto costituisce il “tipo ideale”, per così dire la struttura di base su cui innestare tutti gli altri.
Chi oggi è sincero rischia di essere scambiato per diverso e pericoloso?
Nella dialettica di cui si è detto ci sta, ovviamente, l’opposizione massima dell’individuo in rivolta contro la società intera. Del ribelle, cioè, e infine anche del folle. Si pensi alla lunare e monumentale figura, per l’immaginario moderno, di Don Chisciotte.
Sincerità e malattia psichica: cosa mi dice?
Appunto. La follia può anche descrivere il limite di rottura fra l’individuo e il consenso storico, sociale e simbolico della ragione. Come ci ha insegnato Michel Foucault la follia, al di là delle descrizioni della scienza psichiatrica e oltre quello che potremmo chiamare lo sfondo “neurologico” della sofferenza psichica, dipende dagli schemi e dalle categorie con cui la società interpreta i comportamenti degli individui. Nella contemporaneità la follia diventa una questione disciplinare, è un problema biopolitico di amministrazione della vita degli individui (si pensi all’uso della psichiatria nei regimi totalitari). Per questo si chiudono i manicomi, per questo ora qualcuno li vorrebbe riaprire.
A pagina 175 lei scrive: “La sincerità è il rifiuto di andarsene in silenzio, nella notte, come un passante anonimo che scompare, poco a poco, nella penombra nebbiosa”. La sincerità presuppone il coraggio. Ma quale potrebbe essere un gesto clamoroso, da cui evincere sincerità?
Essere e rimanere se stessi, coltivando la propria individualità nel tempo, mi sembra un gesto sufficientemente clamoroso e coraggioso.
Si sofferma anche sulla confessione “crudele” che impone la Chiesa. Riesce ad immaginarne una differente?
La confessione è un rapporto di potere. Chi dice la verità sotto confessione, anche quando la confessione appare libera e spontanea e, di conseguenza, non appare la figura dell’inquisitore, è soggetto al potere, diviene una “bestia da confessione”. Si confessa, per così dire, al “grande altro” della società. Una confessione diversa forse potrebbe essere possibile là dove fossimo in grado di sospendere il rapporto di potere e si desse una piena reciprocità fra confessante (i confessanti) e confessore (i confessori). È ciò che avviene, ma molto più raramente di quanto si creda o si speri, in quella che chiamiamo intimità amicale ed erotica.