di GIANCARLO IACCHINI ♦
È sbagliato continuare a chiamarlo “reddito di cittadinanza” (quello spetterebbe a TUTTI in quanto cittadini, quindi compresi… Berlusconi, ex moglie e figli!) e la cifra indicata dai 5Stelle (780 euro) paragonata ai salari minimi di chi lavora 8 ore al giorno appare poco realistica (in diversi paesi siamo attorno ai 500 euro), ma la proposta di un reddito minimo garantito, in cambio della disponibilità (per i disoccupati) a qualche ora di lavoro giornaliero, è sacrosanta, ed anzi su questo l’Italia è pesantemente indietro a livello europeo. Motivo di tanta ostilità (a parte forse l’insofferenza politica verso chi lo propone) prima era l’argomento dei costi per lo stato (“con quali soldi?”, hanno ripetuto come un mantra ogni martedì Floris, Giannini, Mieli e giornalistoni vari ai “dibattista” di turno).
Invece oggi, chiarito ormai che il provvedimento costerebbe meno dell’intervento per “salvare” le banche fallite o degli efficientissimi cacciabombardieri acquistati dall’Italia in quanto ovviamente più “indispensabili” del reddito minimo, la critica si è spostata su un altro aspetto. Il folkloristico “giornalista” Nicola Porro perde il lume della ragione contro il malcapitato Alfonso Bonafede gridando: “ma dove diavolo le trovate 3 offerte di lavoro da proporre obbligatoriamente al giovane disoccupato, se IL LAVORO NON C’E’?” Quindi sarebbe un circolo vizioso, quello di dare ai senza-lavoro un reddito statale a condizione che si accetti un lavoro che appunto non si trova?
No. Porro è fuori strada come tutti quelli che, in buona fede o (più spesso) meno, sollevano questo curioso argomento. Il lavoro di cui si parla non può essere un lavoro in azienda, a meno che non si pensi di regalare profitti privati con salari pubblici (e in questo caso le offerte di lavoro si moltiplicherebbero di colpo!), ma una serie di lavori “socialmente utili” decisi dai comuni. Nel “libero mercato”, infatti, si crea lavoro solo finché c’è un profitto, mentre la logica del settore pubblico dovrebbe essere diversa: creare lavoro ove ce ne sia BISOGNO, senza contare che nuovo reddito produce nuovi consumi, il che è funzionale anche al privato: il famoso “fategli scavare buche per poi riempirle, basta che li pagate”, attribuito a F.D.Roosevelt ai tempi del New Deal… E non c’è bisogno di “scavare buche” (quelle semmai andrebbero chiuse, vista la condizione delle nostre strade!): basta guardarsi intorno, in ogni località grande e piccola, per accorgersi di centinaia di lavori di pubblica utilità (opere di cura e manutenzione, salvaguardia dei beni comuni, interventi ecologici, assistenza ai cittadini in mille modi diversi) che i Comuni sarebbero ben felici di assegnare e distribuire grazie al salario minimo offerto dall’amministrazione centrale! Sarebbe una svolta radicale, sul piano economico ma anche su quello etico, e non come dicono una “elemosina di stato” (tutto il Welfare appare ormai così a questi ultimi sciocchi epigoni del liberismo). Quindi l’ostilità bipartisan verso questa proposta davvero non si comprende; a parte la totale rimozione (in Italia) delle ricette keynesiane in nome dell’austerità e del “pareggio di bilancio”, viene in mente la frase di Ernesto Rossi: “Credono che giustizia sociale significhi abolire la ricchezza, quando invece sarebbe sufficiente abolire la povertà!”.