Femminismo socialista e femminismo borghese

di LEONARDO MARZORATI

Il femminismo e la lotta per i diritti della donna sono argomento troppo serio per essere lasciato in mano a personaggi che non solo ne sviliscono il valore, ma ne ridicolizzano anche il senso. È il caso dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini, che non perde occasione per denigrare involontariamente, o forse volontariamente, decenni di lotta per l’emancipazione femminile. Giorni fa, la deputata piddina si è scagliata contro l’immagine della App Immuni, raffigurante una donna intenta a coccolare un neonato e il marito al PC. Con i tanti casi di donne sfruttate, di diritti non riconosciuti alle lavoratrici e di una violenza spesso generata da assenza di cultura, Boldrini punta l’indice verso il nulla, conscia del fatto che la sua presenza nelle istituzioni non ha migliorato di una virgola la condizione femminile italiana.

La stessa Boldrini – che ha tenuto a farsi vedere dai fotografi in ginocchio in prima fila, davanti a uno sparuto gruppo di parlamentari dem, per acchiappare like (o insulti) in nome del Black Lives Matter, non ha detto nulla di Siddique Adnan, pakistano assassinato a Caltanissetta dalla mafia a coltellate per aver difeso i diritti dei braccianti. Boldrini fa bene a tacere sull’assassinio del povero Adnan, dato che da parlamentare non si è mai spesa nei fatti per garantire maggiori diritti a chi lavora nei campi e a combattere la mafia, che dal profondo Sud al Nord insozza il nostro Paese.

Qualcuno la schernisce definendola “sinistra fucsia”, ma schernirla non basta. Questa “sinistra” va temuta e combattuta, per far sì che quei pochi che ancora la votano passino dalla parte del socialismo e delle forze politiche che si battono per ottenerlo. La sinistra boldriniana non vuole il socialismo e non può definirsi nemmeno socialdemocratica, dato che è liberista nell’indole, dall’appoggio piegato ai burocrati di Bruxelles all’opposizione ai pochi tentativi di nazionalizzazione delle infrastrutture e dell’energia. Sono squallidi liberisti, anche se non lo sbandierano con l’orgoglio con cui lo fa Emma Bonino. La quasi totalità della dirigenza del PD, Italia Viva e persino pezzi dell’attuale sinistra parlamentare (Vasco Errani di LeU ha di recente affermato che la lotta tra capitale e lavoro è anacronistica, roba da secolo scorso) sono nemici del socialismo, alla pari di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Per differenziarsi da questi ultimi, non potendo portare lo scontro sui temi sociali, puntano tutto sui diritti civili e sull’operazione revival dei fu DC, PCI e PSI, presentandosi all’elettorato come gli unici eredi di quelle tradizioni. Purtroppo il loro giochino delle tre carte riesce ancora a fregare qualche nostalgico.

La carta del femminismo resta una delle più forti, considerando che tocca i sentimenti del 50% dell’elettorato. Se la destra attacca i più basilari diritti della donna, come in Umbria, dove la giunta regionale leghista ha abolito la possibilità di praticare l’aborto farmacologico in day hospital, la sinistra liberale cerca di fare polemica sul nulla, non avendo argomenti credibili alla mano. In questo modo Boldrini e soci hanno svilito il glorioso sostantivo “femminismo”, quello nato grazie a figure come Clara Zetkin, Vera Zasulic, Rosa Luxemburg, Aleksandra Kollontaj, Marija Spiridonova e le “nostre” Anna Kulisciov e Angelica Balabanov. Esisteva anche un femminismo borghese, vero, ma i socialisti e le socialiste ci hanno insegnato che la vera emancipazione si ottiene con la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. O dell’uomo sulla donna. O della donna su uomini e donne sfruttati, dato che il femminismo borghese, a differenza di quello socialista ridicolizzato dalle Boldrini di turno, gode di ottima salute, con Ursula Von der Leyen a capo dell’Unione Europea, Christine Lagarde alla Bce e Kristalina Gheorghieva al Fmi. Boldrini ovviamente è più vicina a queste tre signore che non alle tante lavoratrici sfruttate, quindi normale che si occupi solo di fesserie da salotto.

Questo pseudo-femminismo zuccheroso ha però contribuito a incattivire molti uomini, che hanno ricondotto le lotte per i diritti della donna alle cretinate postate sui social da personaggi come Boldrini. L’assuefazione da lamentele istituzionali per il mancato utilizzo di un termine al femminile hanno non solo inimicato alla stragrande maggioranza degli italiani il personaggio dell’ex presidente della Camera (portata in Parlamento prima dal discutibile Nichi Vendola e poi da Pierluigi Bersani e Pietro Grasso), ma reso fastidiosi a molti (sia uomini che donne) i discorsi in nome dei diritti femminili. Un gioco controproducente, che porta diverse donne ad abbandonare la lotta sociale per limitarsi a quella, spesso fittizia, dei diritti civili. Ma come spiegò Clara Zetkin, la diseguaglianza economica non permette una reale lotta per l’emancipazione femminile: le donne dell’alta borghesia non capiranno mai le esigenze delle proletarie e il loro femminismo resterà limitato al loro ristretto gruppo. Cosa che in forme diverse da 100 anni fa sta succedendo ora, dove una manager può farsi sentire per ottenere lo stesso lauto stipendio dei suoi colleghi maschi, mentre una precaria non può permettersi di avere un figlio per paura di perdere il rinnovo di un contratto. In questi giorni l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri, dalle pagine del quotidiano Repubblica (tanto attento alle lotte boldriniane), ci spiega che più contratti a tempo determinato fanno bene. Boeri è un tecnico di area Pd…

Il femminismo liberale, come disse Kollontaj, mina gli sforzi della rivoluzione socialista, perché distrae la classe operaia femminile. Cosa che oggi fanno Boldrini, Wladimir Luxuria, Lilly Gruber ecc. Un nuovo dividi et impera infuria sui media e sui social. Sta a noi socialisti raccogliere sotto la bandiera rossa con la falce e martello tutte queste compagne che si sono fatte abbagliare dagli specchietti per le allodole della “sinistra” fucsia.

 

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