Rocco il poeta socialista, il sindaco, il sindacalista… morto trentenne 67 anni fa

di ULISSE SIGNORELLI

67 anni fa moriva Rocco Scotellaro, un Socialista poco conosciuto e studiato. Nato a Tricarico il 19 aprile 1923, morto a Portici il 15 dicembre 1953, nonostante l’umile famiglia, il padre Vincenzo era calzolaio e la madre Francesca Armento una casalinga, nel 1942 frequenta la facoltà di giurisprudenza a Roma, ma, conseguentemente alla guerra e alla morte del padre, avvenuta lo stesso anno, decide di tornare nel suo paese natale.

Ben conoscendo la situazione disumana in cui sopravviveva la civiltà contadina: le carenze alimentari e igienico-sanitarie, un caporalato spietato e intransigente, l’estrema e costante povertà e avendo fatto sue le indicazioni e i consigli del padre, pur continuando gli studi (prima a Napoli, poi a Bari) inizia un’intensa attività sindacale e politica dedicandosi quasi esclusivamente allo sradicamento di queste fonti di malessere secolare, iscrivendosi al Comitato di Liberazione Nazionale e, il 4 dicembre 1943 al Partito Socialista Italiano. Il giorno di Natale dello stesso anno 1943 fondò a Tricarico la sezione “Giacomo Matteotti” del PSI, che sotto la sua guida si rivelò attivissima nella fase di passaggio dal fascismo alla repubblica.

Nel dopoguerra Rocco Scotellaro vide nel Partito Socialista il mezzo ideale per il miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei contadini di cui i governi si erano sempre poco occupati, partecipò attivamente all’occupazione delle terre incolte di proprietà dei latifondisti e fu tra i maggiori promotori della Riforma Agraria del Sud e in modo particolare della Basilicata.

Nel 1946, all’età di ventitré anni, viene eletto Sindaco Socialista di Tricarico e nello stesso anno incontra per la prima volta Manlio Rossi Doria e Carlo Levi, che Rocco indicherà come suo mentore.

Sua caratteristica principale in ambito politico è la volontà di coinvolgere la popolazione per la soluzione dei problemi, come dimostra la fondazione dell’Ospedale Civile di Tricarico, nel 1947, realizzato con il contributo economico e umano dei cittadini.

L’ingenuità politica, forse determinata dalla sua giovanissima età, si palesò nel 1950 quando viene accusato di concussione, truffa e associazione a delinquere dai suoi avversari politici e per questo costretto al carcere per 45 giorni circa (nella cella n.7 del vecchio carcere di Matera, oggi a lui intitolata). Ma quando il 24 marzo 1950 la Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Potenza non solo prosciolse lo Scotellaro ordinandone la scarcerazione “per non aver commesso il fatto” e “perché il fatto non costituisce reato”, ma parlò chiaramente di ” vendetta politica” la delusione gli fa abbandonare la carica di Sindaco e la politica attiva a soli 27 anni per dedicarsi maggiormente alla passione letteraria, senza trascurare il suo impegno per i diritti del popolo meridionale. Nello stesso anno accetta la proposta di Rossi Doria per un incarico all’Osservatorio Agrario di Portici, dove compie ricerche e studi sociologici, oltre ad un’inchiesta sulla cultura e sulle condizioni di vita delle popolazioni del sud per conto della casa editrice Einaudi.

Fattosi “uva puttanella”, cioè umile cantore della sua terra e umile chicco desideroso di offrire la sua esperienza al mondo, ovvero il suo succo al tino del mosto, moriva d’infarto, a soli trent’anni.

Scotellaro trasferiva nei suoi versi un mondo rimasto fino ad allora estraneo. Si vuol dire del mondo contadino, dei cafoni, dei “fabbricatori”, ma anche degli asini, delle capre e dei muli. Vi irrompevano anche le grandi problematiche sociali, come gli scioperi, l’occupazione delle terre e gli attacchi ai municipi.

La poesia tendeva a farsi comizio nella strada, secondo la tradizione delle recitationes in pubblico, quali furono conosciute nel mondo greco, ma anche nel mondo socialista e in quello ispanico e ispano-americano. Non è raro, infatti, trovare, in Rocco Scotellaro, movenze che possono ricondurre a Rafael Alberti e a Garcia Lorca.

Vogliamo ricordarlo con una delle sue poesie più belle: È fatto giorno, chiamata anche la “Marsigliese del movimento contadino”:

Non gridatemi più dentro,

non soffiatemi in cuore

i vostri fiati caldi, contadini.

Beviamoci insieme una tazza colma di vino!

che all’ilare tempo della sera

s’acquieti il nostro vento disperato.

Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti, e la caverna –

l’oasi verde della triste speranza –

lindo conserva un guanciale di pietra…

Ma nei sentieri non si torna indietro.

Altre ali fuggiranno

dalle paglie della cova,

perché lungo il perire dei tempi

l’alba è nuova, è nuova

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