di LEONARDO MARZORATI –
Se questo è un uomo di Primo Levi è un testo più che mai attuale. Non solo per l’aver descritto con coraggio emotivo l’orrore dei lager nazisti, ma anche per aver palesato aspetti delle dinamiche umane in assenza di un ordine che sappia garantire la dignità di ogni singolo individuo.
Nel campo di concentramento di Auschwitz si lottava ogni giorno per la sopravvivenza, con uomini costretti alla condizione di bestie mammifere. I criminali nazisti riuscirono a ricreare con perfezione sadica una situazione da “homo homini lupus” di Thomas Hobbes. Il filosofo inglese nel XVII secolo raccontò come la natura umana fondamentalmente egoistica necessiti di leggi che regolino i rapporti per una convivenza pacifica. Ad Auschwitz, soprattutto per gli ebrei, l’ultima ruota del carro nel castello gerarchico ideato dal regime hitleriano, ogni uomo doveva sopravvivere giorno per giorno, consapevole che la sua vita avrebbe comportato la morte di altri.
Levi divide gli ebrei rinchiusi nel lager in “sommersi e salvati”, dove i primi (chiamati curiosamente da altri ebrei “musulmani”) non reggono le dure regole del campo e sono fin dall’inizio condannati alle camere a gas, mentre i secondi riescono a sopravvivere. Questi sfruttano alcune caratteristiche positive, come la forza fisica, l’astuzia, l’arguzia, ma anche negative, come il tradimento, il servilismo verso le gerarchie superiori, l’indifferenza alle sofferenze altrui.
Levi racconta di ebrei arrivati al grado di Kapo che diventano più crudeli dei Kapo criminali comuni, per essere apprezzati dalle SS e non venir così rimossi dal ruolo conquistato. Altri deportati si danno al mercato nero per ingraziarsi tedeschi con ruoli di controllo presenti nel campo. Si crea così un’economia di mercato interna al lager, dove il valore delle merci di prima necessità, dal pane alla razione di zuppa, dal cucchiaio al pigiama a righe, cambia di valore dall’oggi al domani, a seconda delle esigenze.
Il mercato nero di Auschwitz ha molti punti in comune con l’attuale libero mercato. Un consumismo sempre più esasperato, che forse nemmeno la pandemia riuscirà ad arginare, porta milioni di consumatori (più che di cittadini) a fare sacrifici per poter acquistare beni, non fondamentali alla sopravvivenza come quelli di Auschwitz, ma superflui.
Senza le violenze fisiche e gli orrori dei campi di sterminio, i cittadini dei nostri giorni vivono in un mercato che genera “sommersi” e “salvati”. I primi non riescono a mettersi in mostra in un mercato del lavoro che ci trasforma in “homo homini lupus” e finiscono per deprimersi, accontentarsi di lavori sottopagati e/o precari, subire mobbing (in teoria criminalizzato, ma in pratica ben radicato, specie in imprese all’avanguardia), mirare alle sole forme di sussidio sociale. Per i liberisti, vengono subito bollati come “non produttivi”, per distinguerli dai “produttivi”, quelli che contribuiscono a rafforzare questo mercato in cui l’individuo deve prevalere sulla massa.
La pandemia qui peggiora ulteriormente le cose, isolando ulteriormente chi è fragile, economicamente in difficoltà, con una vita sociale scadente. Molti di loro vengono additati come “non produttivi”, “inutili”, “sfigati”, “incel”. A delle vittime corrispondono dei carnefici. I “brillanti”, quelli che grazie a questo mercato hanno saputo arricchirsi e farsi una posizione sociale, spesso ne approfittano ulteriormente. Il boom nei giorni della chiusura del commercio elettronico e delle criptovalute come Bitcoin ne sono una prova.
Per un negoziante che chiude, un cameriere che perde il lavoro, ci sono altri che si arricchiscono. I salvati e sommersi del XXI ovviamente non hanno nulla a che fare con esecuzioni sommarie e camere a gas, ma vivono una condizione che ha punti in comune con quella dei deportati nei campi di concentramento. Il capitalismo globalizzato ci ha messo gli uni contro gli altri come fecero i nazisti con i deportati. Ognuno deve pensare a se stesso, allora per sopravvivere, oggi per emergere.
La lotta sociale è stata quasi annientata, con il popolo che, in democrazia, si divide più per i diritti civili. Questi sono fondamentali, ma è inevitabile che chi non si sente rappresentato da queste conquiste e vede la sua condizione economica peggiorare rispetto a quella dei propri genitori, diventi indifferente, se non ostile a questo tipo di battaglie. È questa la “Auschwitz Arcobaleno” che dobbiamo alle forze politiche che negli ultimi decenni hanno svenduto i diritti sociali in quasi tutti i Paesi europei. Sono forze politiche compromesse, che vanno abbattute e sostituite. La destra liberal-conservatrice e la sinistra liberal-progressista sono le fautrici di questa “Auschwitz Arcobaleno”, con le privatizzazioni selvagge, con la precarizzazione del lavoro, con la distruzione della sanità e dell’istruzione pubblica e con l’aver furbescamente orientato l’occhio del cittadino elettore su altre tematiche, come il giustizialismo prima e il razzismo poi.
In tutta Europa si rafforza sempre più la destra populista e non liberale. Tra suoi supporter ci sono tanti “non produttivi”, non rappresentati da ciò che resta della sinistra ed esclusi dalle ultime battaglie civili, in quanto maschi, eterosessuali e non allogeni. I liberali cercheranno di ammansire le destre populiste per governarci insieme e per addomesticare le sue voci più critiche: vedremo se ci riusciranno. Nel 1922, col fascismo, fecero male i loro conti. La sinistra liberale punta tutto sul gridare al “fascismo”, tecnica controproducente se non per coccolarsi una fetta di elettorato fidelizzato e non più giovane. Proprio ai giovani si devono rivolgere le forze fresche del socialismo democratico, per iniziare ad abbattere i muri e il filo spinato di un ordocapitalismo che dietro le sue bandierine arcobaleno nasconde l’ipocrita messaggio che campeggiava anche 80 anni fa ad Auschwitz: “il lavoro rende liberi”.