di ISABELLA SENATORE * –
Vorrei iniziare il mio discorso un po’ da lontano e partire da una semplice domanda che mi sono posta spesso: perché sono comunista?
Non è una domanda facile a cui rispondere perché non è stata una scelta politica la mia ma sentimentale. Ero comunista anche da bambina e non lo dicevo io, lo dicevano i miei insegnanti. Una volta una maestra quando avevo circa 9 anni mandò a chiamare mio padre e mi accusò di sobillare gli altri compagni contro di lei, poiché ella usava diversità di trattamento verso i suoi alunni, trattando bene i figli dei più abbienti e male i restanti, di origine contadina oppure operaia. Mi trovavo a Cava de’ Tirreni da poco, provenivo da un’eccellente scuola di Reggio Emilia, dove ovviamente ciò non avveniva, perché la nostra maestra di Reggio era comunista, si chiamava Fernanda Iotti Torelli.
Dunque ero comunista perché fin da piccola avevo capito che i comunisti stanno dalla parte dei deboli, dei lavoratori (sfruttati), delle donne e dei bambini, perché mia madre era comunista e aveva letto Il Capitale appena diciassettenne – era una specie di genio – perché nella casa dove andammo ad abitare a Cava de’ Tirreni la stanza più bella della casa era rossa, perché mio nonno era comunista e i compagni giovani lo salutavano a pugno chiuso, perché al suo funerale fu messa una bandiera rossa sulla sua bara e il compagno Riccardo Romano, eletto deputato da Cava, fece un discorso toccante su quelli che come mio nonno erano stati comunisti della prima ora rischiando la vita (lui inizialmente aveva aderito al fascismo).
Così penserete una scelta obbligata: no perché man mano che crescevo e mi rendevo conto delle implicazioni della mia scelta e la sottoponevo a falsificazione e posso dirvi che mai ho trovato un solo motivo oggettivo per pentirmi della mia vocazione ad essere comunista. Non c’è altra filosofia o dottrina politica che vede così chiaramente la storia per quello che è: la storia di una lotta di classe tra i “sommersi e i salvati”. La storia degli schiavi e degli schiavisti, dei padroni e dei servi, dei signori e dei vassalli, dei capitalisti e degli operai, la storia che stiamo vivendo, delle masse oceaniche di affamati che premono sulle mura dei castelli dei padroni per cercare un tozzo di pane e la salvezza da guerra, fame e distruzione fisica e morale. Ma anche all’interno delle mura la situazione non è migliore, c’è un solo padrone e una pletora di schiavi a cui hanno dato a bere che sono liberi ed essi se la bevono pur di vivere in pace e potersi accomodare con le pantofole davanti alla TV alla sera distrutti da giornate di lavoro massacranti ma felici di vivere in un mondo “libero”.
Eccoci dunque arrivati all’apoteosi dell’ingiustizia e dell’ingordigia del capitalismo: dopo la seconda guerra mondiale gli orrori erano stati scoperti ed erano così mostruosi che il mondo per un momento sembrò scosso e iniziava timidamente a prendere un’altra direzione; si cominciò a parlare di diritti umani (per quelli animali ahimé c’è da aspettare ancora parecchio), si abolì la pena di morte in Europa, si stabilirono programmi di aiuti alle popolazioni uscite sconfitte dalla guerra, forse memori degli errori fatti dopo la prima guerra mondiale che avevano contribuito alla nascita del nazismo, si iniziò a scrivere costituzioni illuminate, ad abolire la tortura e i trattamenti carcerari contrari al senso di umanità, si scrivevano carte dei diritti umani che dovevano garantire la dignità umana e proteggere i deboli, i poveri, i perseguitati, è stato un bel momento, ma è durato troppo poco… un momento che sull’orologio della storia è durato pochi secondi, e che non è riuscito a sopravvivere al liberismo selvaggio degli anni ottanta; e poi la globalizzazione, la perdita dei diritti dei lavoratori, il mercato selvaggio della finanza, di nuovo la forza delle dittature, dei poteri forti, perché la democrazia è fragile, ammesso che non sia un sogno, e non abbiamo lottato abbastanza per difenderla sicuri che ormai eravamo persone libere.
Ecco che pian piano siamo tornati senza possibilità di combattere all’oscurantismo, dove internet è al servizio dei potenti e nel surplus d’informazioni che ci sommerge ogni giorno non c’è più modo di riconoscere il vero dal falso, e al culmine di tutto questo, la pandemia!
Ed eccoci alla realizzazione del sogno dei capitalisti: il medioevo digitale, i poveracci che si scannano tra loro per un tozzo di pane mentre loro, i capitalisti, diventano sempre più ricchi in una folla corsa all’arricchimento ad libitum che può portare solo più velocemente all’estinzione della razza umana, e forse dopotutto non sarà davvero un male. Come disse un famoso capitalista: «la lotta di classe esiste eccome, e l’abbiamo vinta noi».
Un anno e mezzo fa circa scoprii per puro caso in Facebook il Movimento Radicalsocialista e trovai un luogo, virtuale ma anche reale, dove finalmente si poteva dialogare con tutti, quindi non solo con altri comunisti come me, ma anche e soprattutto con socialisti veri e radicali del libero pensiero, gli anarchici, i pacifisti e i rivoluzionari, dove finalmente potevo esprimermi e confrontarmi con veri compagni, che sanno di quel che parlano, lungimiranti, intelligenti e preparati. Tuttavia questo è un movimento di opinione e non un partito e questo è un bene ovviamente. Ma ora di fronte a quello che sta succedendo mi chiedo, cari amici, se forse non dovremmo cambiare un poco, o forse molto, i nostri obiettivi. Oggi con la pandemia, e la strumentalizzazione che ne è stata fatta attraverso i politici e l’uso sconsiderato dei mezzi di informazioni, il potere costituito ha acquisito un’arma potentissima, a cui forse finora non aveva neanche seriamente pensato, che per soggiogare anche le menti più libere si può usare uno strumento infallibile, la paura. Non la paura di rimanere senza lavoro o senza casa, che già da sola piega le menti più libere come vediamo tutti i giorni dalla perdita del valore del lavoro, ma quella della morte stessa! Una morte orribile e atroce, la morte peggiore, in assoluta solitudine, come quella degli appestati di un tempo che pensavamo superata per sempre.
E dunque mi chiedo e vi chiedo, compagni, possiamo permetterci ancora il lusso di rimanere solo un movimento di opinione? Questa è la domanda che vi pongo, e la sfida che vorrei lanciare a tutti, iscritti, amici, amici degli amici, e anche perché no ai nemici che condividono il nostro obiettivo: la liberazione da un mondo troppo ingiusto.
(*) portavoce del Movimento RadicalSocialista
Organizzare un movimento oggi significa avere risorse umane e non solo, ma anche idee che possano fare presa e quindi creare gruppi in grado di penetrare nel mondo web, nella società. Non è semplice, non è impossibile.