Manifesto del liberalsocialismo (1940) – paragrafo 1

Pubblichiamo a puntate, con qualche piccolo taglio, il Manifesto del liberalsocialismo scritto da Guido Calogero e Aldo Capitini nel 1940, sulla scia dei tanti dibattiti portati avanti nell’ambito dell’antifascismo “laico” e illuministico, da cui avevano preso il via anche il movimento Giustizia e Libertà e successivamente il Partito d’Azione, grande protagonista della Resistenza insieme a comunisti e socialisti. Nel nome degli ideali di martiri dell’antifascismo liberale e socialista come Piero Gobetti e i fratelli Carlo e Nello Rosselli.

1. A fondamento del liberalsocialismo sta il concetto della sostanziale unità della ragione ideale che sorregge e giustifica tanto il socialismo nella sua esigenza di giustizia quanto il liberalismo nella sua idea di libertà. Questa ragione ideale coincide con lo stesso principio etico con cui si è sempre misurata e si misurerà sempre la civiltà: il principio per cui si riconoscono le altrui persone di fronte alla propria persona, e si assegna a ciascuna di esse un diritto pari al proprio.

Nell’ambito di questa universale aspirazione etica, liberalismo e socialismo si distinguono solo come specificazioni concomitanti e complementari. Il liberalismo vuole che fra tutti gli uomini sia equamente distribuito quel grande bene che è la possibilità di esprimere liberamente la propria personalità, in tutte le possibili forme di tale espressione. Il socialismo vuole che fra tutti gli uomini sia equamente distribuito l’altro grande bene che è la possibilità di fruire della ricchezza del mondo, in tutte le legittime forme di tale fruizione. Così il liberalismo vuole l’uguaglianza e la stabilità dei diritti e delle leggi, senza distinzioni dipendenti da religione, razza, casta, censo, partito; vuole la derivazione di ogni norma giuridica dalla volontà dei cittadini, espressa secondo il principio della maggioranza; vuole l’ordinata partecipazione dei cittadini al governo della cosa pubblica; vuole la libertà di pensiero, di stampa, di associazione, di partito, quale fondamento dell’esercizio del reciproco controllo e dell’autogoverno; e vuole la libertà di religione, che permetta ad ognuno di adorare in pace il suo Dio. Parallelamente, il socialismo vuole che nella coscienza morale degli uomini s’impianti energicamente il principio, che, anche sul piano della ricchezza, l’ideale è quello della giustizia e dell’uguaglianza, e che perciò bisogna tanto suscitare nel proprio animo il gusto di lavorare e del produrre, quanto reprimervi quello del guadagnare e del possedere in misura soverchiante la media comune. Vuole, di conseguenza, che ciascuno sia compensato con la ricchezza prodotta, in misura congrua al suo effettivo lavoro; vuole che non sia riconosciuta la legittimità del possesso ed uso privato del puro interesse del capitale, ma solo quella del compenso della reale attività e fatica dell’imprenditore e del dirigente; vuole che con la ricchezza appartenente alla società venga assicurato ad ognuno il diritto di partecipare al lavoro comune e di raggiungere la piena esplicazione delle proprie attitudini, e parimenti venga assicurato speciale soccorso per tutti coloro che si trovino comunque in condizioni di inferiorità; vuole che la società tenda con la massima intensità possibile ad elaborare ed instaurare tutti quei progressivi assetti politici e giuridici, che appaiano atti a far procedere la civiltà in direzione di questo ideale, della sempre maggiore socialità della ricchezza.

D’altronde, in tali aspirazioni, tanto il liberalismo quanto il socialismo non possono non avvertire come ciascuno dei due grandi complessi di ideali etico-politici da loro propugnati sia, nelle sue specificazioni concrete, legato da infiniti vincoli all’altro, e presupponga l’altro nelle sue particolari possibilità di realizzazione. A chi combatte con la miseria, non si può offrire e garantire senza ipocrisia la semplice libertà di pensare e di votare. A chi soggiace alla dittatura, non si può concedere senza perfidia un innalzamento del livello economico della vita, a cui non vada congiunta la libertà di intervenire nella gestione della ricchezza comune. Non si può far avanzare la libertà senza l’ausilio del benessere, né amministrare secondo giustizia senza l’ausilio della libertà. Non si può essere seriamente liberali senza essere socialisti, né essere seriamente socialisti senza essere liberali. Chi è pervenuto a questa convinzione e si è persuaso che la civiltà tanto meglio procede quanto più la coscienza e gli istituti del liberalismo lavorano per inventare e ad instaurare sempre più giusti assetti sociali, e la coscienza e gli istituti del socialismo a rendere sempre più possibile e intensa e diffusa tale opera della libertà, ha raggiunto il piano del liberalsocialismo.

(segue)

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