“Buona Scuola” e nuovo esame: ma quali competenze?

di VALENTINA PENNACCHINI

Anno nuovo vita… vecchia. Cambia il Ministro dell’Istruzione ma la Buona Scuola renziana resta.
Il doppio turnover Renzi-Gentiloni e Giannini-Fedeli è passato tutto sommato in sordina. A far scalpore, a parte il governo fotocopia, il titolo di studio della neo-ministra con un passato in CGIL e quindi poco divisiva e molto governativa. Più che la mancanza di laurea fa specie la menzogna. Le bugie non piacciono nemmeno se a dirle sono i bambini figuriamoci un ministro, che per far bene il suo lavoro non deve necessariamente esser in possesso di un foglio di carta. Le prime impressioni dicono che se anche la laurea ci fosse stata, a poco o nulla sarebbe servita…

Ma veniamo alla Buona Scuola! Passano in extremis 8 delle 9 deleghe in bianco al governo previste dalla legge 107/15 di renziana memoria quando il buon Renzi, salito in cattedra, gessetto alla mano e munito di lavagna, dettava la via. Nessun cambio di rotta tanto meno autocritica. Il Renziloni o Renzi-bis, più pacato nella narrazione ma sempre arrogante nei fatti, tira dritto, incurante dei disastri già causati dalla Buona Scuola. Possiamo solo aspettarci il peggio visto che a riempire il vuoto normativo sarà un governo fotocopia di quello che ha messo in atto lo smantellamento progressivo e sistematico dello stato sociale. Delega in bianco e nessuna consultazione degli stakeholder (fa figo) cioè di tutti i soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nell’attività di un’azienda. E sì, perché la scuola è ormai un’azienda … (sic)

C’erano una volta i riti di iniziazione e ora non ci sono più. Archiviati. Rottamati. Non si esce più da uno status per entrare in un altro radicalmente diverso dal precedente. Si resta né carne né pesce sine die. Questo viene definitivamente sancito dalla bozza del “nuovo” (una deriva cominciata molto prima) esame di Stato che sarà esaminato in commissione, sempre ci sia margine per rispettare i tempi sennò buona la prima. Nessuno si aspetta grandi modifiche. Quella più probabile (spero di sbagliarmi perché a quel punto sarebbe meglio abolirlo l’esame di Stato) riguarda la composizione della commissione esaminatrice, che resta invariata (3 membri esterni, 3 interni e un presidente esterno): in epoca di spending review e di “letterine” da 3,4 miliardi di euro è difficile che il Governo si lasci sfuggire la ghiotta occasione di risparmiare “spiccioli” sulle commissioni (magari non sul presidente, giusto per salvar le apparenze).

Peccato che la logica dell’esame contrasti con quella delle competenze e della loro certificazione. Chi supera l’esame di Stato dovrebbe esser “competente” come certificato. Purtroppo si potrà esser ammessi all’esame (e salvo clamorose sorprese, promossi) con la media del 6, condotta compresa. Basteranno alcune insufficienze non gravi oppure una grave insufficienza (forse pure due) se c’è qualche 7 qua e là e magari un bel 9 in condotta (col 10 si rischia di “sballare”). Avere 9 o 10 in condotta fa molto competenti in… mansuetudine ma poco altro: spirito critico scarso. Si può infatti esser ammessi all’esame e quindi esser sufficientemente competenti con la media del 6, quindi anche con 4 in matematica e 9 in condotta oppure con 5 in italiano e in matematica e sempre 9 in condotta… Le possibilità sono molte.

Viene il sospetto che la competenza sia connessa alla condotta: se ti adegui e non rompi le uova nel paniere la competenza salta fuori (te la certifichiamo in barba ai corsi d’aggiornamento). Tutto sommato è coerente con il modello di scuola-azienda. L’azienda ha bisogno di quadri dirigenti competenti (stando ai risultati forse no, almeno nel pubblico, ma stando ai premi connessi al raggiungimento degli obiettivi… è un’altra storia) e di forza lavoro poco qualificata, ricattabile, a basso costo e soprattutto mansueta. Con l’aria che tira, visto che non tutti potranno emigrare all’estero (Brexit e Trump non promettono bene), le prospettive non son certo rosee. Proprio una “Buona Scuola”!

Valentina Pennacchini

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