Alle origini della teoria economico-filosofica di Marx: l’economia classica, la dialettica hegeliana e… lo sconosciuto Wilhelm Schulz!

di GIANCARLO IACCHINI –

1843: esce il libro di uno strano e sconosciuto economista tedesco, che le poche enciclopedie che oggi lo menzionano definiscono “radicale e socialista”. Il libro, intitolato “Il movimento della produzione“, non ha praticamente nessuna fortuna né nell’ambito della scienza economica né in quello della filosofia sociale. Lo menziona però Moses Hess, amico e collaboratore di Marx ed Engels, che fornisce ai due fondatori del materialismo storico e dialettico molto materiale su quella “critica dell’economia” che il giovane Karl comincia a sviluppare con tanto impegno e genialità.
Nel ’44, pochi mesi dopo la pubblicazione del libro di Schulz, Marx stende i famosi “Manoscritti economico-filosofici“, dove cita senza commenti, ma con evidente approvazione, questo stupendo passo tratto dall’opera di Schulz:
«Un uomo, per evolversi in forma spiritualmente più libera, non può più restare schiavo dei propri bisogni materiali, non può più essere servo del proprio corpo. Gli deve rimanere anzitutto del tempo per poter anche creare e godere spiritualmente. Oggi i progressi dell’organizzazione del lavoro creano questa possibilità di tempo libero. Oggi, con le nuove forze motrici e col perfezionamento delle macchine, un operaio di un cotonificio esegue da solo il lavoro di cento, ed anche di due o trecento operai di una volta. Risultati simili si hanno in tutti i rami della produzione, perché le forze esterne della natura vengono sempre più costrette a collaborare con il lavoro umano. Se una volta per appagare una determinata quantità di bisogni materiali occorreva un certo dispendio di tempo e di energia umana che in seguito è diminuito della metà e oltre, si è nello stesso tempo allargato proporzionalmente il margine di tempo per la creazione e il godimento spirituale, senza alcun pregiudizio del benessere materiale. Ma nell’attuale società, anche nella distribuzione della preda che noi strappiamo al vecchio Kronos chi decide è ancora il dado del caso cieco e ingiusto: infatti, mentre si calcola che con l’attuale progresso della tecnica produttiva sarebbe sufficiente una giornata lavorativa media di 4-5 ore per soddisfare tutti gli interessi materiali della società, malgrado questo enorme risparmio di tempo dovuto al perfezionamento delle macchine la durata del lavoro degli schiavi delle fabbriche non ha fatto finora che aumentare».
Da questo momento, come è ben noto, la fama di Marx esplode in modo clamoroso, mentre del “povero” Wilhelm Schulz non è dato sapere più nulla o quasi (e forse nessuna delle sue opere viene tradotta dal tedesco).
Vent’anni fa, però, un ricercatore dell’università di Nanchino, Zhang Yibing, pubblica un’opera intitolata “Ritorno a Marx“, che nel 2014 – grazie ad una versione in lingua inglese – esce dai confini della Repubblica Popolare Cinese. In questo libro è contenuto un sintetico ma significativo riassunto del pensiero di Schulz, con particolare attenzione all’opera citata da Marx nei “Manoscritti” del 1844. Lo pubblichiamo tradotto per la prima volta in italiano (ovviamente da noi) nel tentativo di “riabilitare” in qualche modo un autore che, secondo molte testimonianze, ha esercitato una forte influenza sulla genesi del pensiero di Marx, per quanto riguarda aspetti cruciali come il materialismo storico, la dialettica sociale tra forze produttive e rapporti di produzione, nonché la magistrale teoria filosofico-psicologica dell’alienazione e liberazione umana:

«La ricerca di Schulz ricorre per la prima volta alla storia della produzione per spiegare lo sviluppo sociale. Allo stesso tempo, egli è il primo a introdurre l’argomento che i diversi periodi storici possono essere divisi in base allo sviluppo dei bisogni umani ed alle istituzioni necessarie a soddisfare quei bisogni.
Il continuo sviluppo di questi bisogni causa necessariamente cambiamenti persistenti nei rapporti economico-sociali. Utilizzando questo schema, Schulz divide la storia sociale in quattro periodi: il primo è un’epoca definita dalla piccola produzione artigianale di oggetti, dipendenti dalla natura e utili a soddisfare i bisogni più elementari. Si tratta di un periodo senza classi sociali né governi, ma Marx non diede peso a quest’idea di società senza classi.
Il secondo periodo è caratterizzato dalla produzione agricola. In quest’epoca, l’uomo non si limita più al semplice utilizzo della forza naturale per acquisire direttamente dalla natura ciò di cui ha materialmente bisogno, bensì è ormai abbastanza abile da costringere la natura a servirlo. E mentre i bisogni umani, in questa fase, si sviluppano di continuo, comincia ad esserci una divisione del lavoro man mano che industria e commercio emergono dall’agricoltura. Di conseguenza, cominciano ad esserci divisioni anche tra le persone.
Il terzo periodo è segnato dalla produzione artigianale vera e propria. Lo sviluppo della produzione determina per la prima volta l’accumulazione del capitale, la quale a sua volta porta alla nascita delle classi sociali e del loro contrasto. Nello stesso momento comincia la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale.
Il quarto periodo è definito dal sistema di produzione industriale, un sistema meccanizzato prodotto dalla divisione del lavoro. In questa nuova epoca di sviluppo della produzione, le forze produttive agricole, industriali e commerciali crescono insieme con grande rapidità ed il capitale si accumula in modo anche più veloce. Tuttavia, nello stesso tempo, tutto ciò causa un’ulteriore separazione e contrapposizione fra una borghesia che si arricchisce ed un proletariato impoverito.
Schulz era convinto che questa opposizione tra le classi fosse la caratteristica essenziale della società borghese. Nel suo importante lavoro sul “Movimento della produzione”, vediamo che Schulz critica il sistema economico creato dalla borghesia dal punto di vista della sua gestione e organizzazione. Descrivendo la miseria dei lavoratori nella società borghese, egli sottolinea come gli operai siano costretti ad accettare salari miseri “mediante un lavoro ansiogeno che danneggia il loro corpo e distrugge le loro facoltà mentali e spirituali”. E con il continuo allargarsi del divario tra ricchi e poveri, Schulz prevede una tensione sempre più grave tra il proletariato e la borghesia, destinata a culminare in una rivoluzione sociale.
Schulz ritiene che sia compito dello Stato riorganizzare il lavoro e ristrutturare i rapporti di proprietà allo scopo di ridurre gli attuali conflitti sociali, permettendo alla società una transizione verso un modello umanamente migliore. Qualora la classe dominante tenti di impedire una soluzione pacifica di questo conflitto, allora egli pensa che l’unica opzione sia una rivoluzione sociale.
A questo punto Schulz passa a criticare direttamente l’economia politica borghese, le ricette della “sinistra” hegeliana ed anche il comunismo “volgare” del suo tempo (primi anni 40 dell’Ottocento): secondo Schulz gli economisti borghesi si occupano solo del “mondo materiale” (produzione, denaro, profitto, ecc.), trascurando completamente “l’essenza creativa insita nell’uomo e nella sua umanità”. A suo parere, questi economisti non pongono l’essere umano come punto iniziale e obiettivo finale delle loro ricerche, fermandosi proprio come la sinistra hegeliana a dibattiti ideali ed astratti, e confermando in tal modo la loro totale incapacità di “trovare la via verso la vita reale, procedendo dall’astratto ed effimero regno dell’universale”. D’altro canto, il comunismo “volgare” fa loro da spalla, vedendo soltanto gli aspetti materiali, economici, della produzione, della distribuzione e del consumo, ignorando l’attività spirituale dell’uomo e le sue condizioni sociali.
Il pensiero di Schulz su questo aspetto è di estrema importanza, perché è stato proprio lui – ancor prima di Marx – ad iniziare consapevolmente l’analisi della produzione, vedendo nel progresso economico-sociale la possibilità di uscire dalla “preistoria della società umana”. Egli avanzò inoltre il punto di vista secondo cui le nazioni non compaiono fino a quando la produzione sociale non ha raggiunto un certo grado di sviluppo. Questo è evidentemente un importante passo avanti rispetto al materialismo sociale dell’economia classica. C’è da notare che nell’opera di Hess sull’Essenza del denaro, l’unico economista citato è proprio Schulz, e soltanto per il suo libro “Il movimento della produzione”. E’ stato Schulz l’iniziatore delle teorie economiche e politiche di Hess? E’ da Hess che Marx viene a conoscenza dell’opera di Schulz? Per noi è impossibile saperlo; quel che sappiamo è che Marx attinse a piene mani dal lavoro di Schulz nel primo quaderno dei suoi Manoscritti del 1844. Ed è interessante osservare che egli non si accorse del pensiero sociale contenuto nell’opera di Schulz, altrimenti non avrebbe aspettato altri 20 anni per citarlo di nuovo (nel Capitale)».
[da Zhang Yibing, Back to Marx. Changes of Philosophical Discourse in the Context of Economics]

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