di CLAUDIO PAOLINELLI –
Ho deciso di pubblicare l’intervento che avevo preparato per l’assemblea nazionale di Sinistra Italiana di sabato 16 luglio a Roma, ma che non ho avuto l’opportunità di leggere. Come accade sempre. Ogni volta un cavillo mi esclude magicamente dalla discussione, mentre il palcoscenico è sempre aperto per i soliti. Eppure dicevamo che uno vale uno. È evidente che c’è sempre qualcuno che è più uno di un altro.
_________
Quattro milioni e mezzo di italiani in povertà assoluta. Vivere in povertà assoluta significa non avere garantita una alimentazione adeguata, che non si hanno livelli di vita accettabili, significa smettere di curarsi, non avere una abitazione. Vale per Giovani, vecchi, bambini. Sono otto milioni e trecento mila quelli che invece vivono in povertà relativa. Significa fare i conti con l’affitto, le bollette, la precarietà, l’impossibilità ad accedere ai servizi, a quelli scolastici e culturali e anche a quelli sanitari.
Dodici milioni e mezzo di persone ogni giorno, anche oggi, mentre stiamo qui a discutere, fanno i conti con la dura realtà, vivendo una vita di ordinaria disumanità. Mi domando se non sia questo l’argomento principale di cui dobbiamo occuparci. Se non debba essere questo l’incubo che non ci fa dormire la notte. Lo dico da persona che prova ad occuparsi di politica, evitando di far prevalere invece il sentimento di persona arruolata nell’esercito degli 8 milioni e trecentomila poveri, perché in quel caso dovrei intervenire con molta meno pazienza, rischiando di cadere in quel plebeismo che tanto scandalizza molti di voi.
Dunque, senza tanti giri di parole, vorrei entrare nel merito della questione. Il documento di questa assemblea, già in prima lettura seppur affrettata fa intuire che è un altro ennesimo polpettone che include tutto, come i tanti già scritti, sul quale non si può che non essere tendenzialmente d’accordo. condivisibile tranne sul punto riguarda le regole congressuali. Sono infatti totalmente in disaccordo sulla eventualità di presentare al congresso un solo documento. Visto il clima non credo proprio sia possibile, a meno che si voglia continuare a non sciogliere alcun nodo.
Ma prima del congresso, io vorrei invece sapere se siamo in grado di dare delle soluzioni ai 12 milioni di poveri fotografati dall’Istat. Se abbiamo delle risposte immediate e soluzioni nel medio termine. Perché se non ce le abbiamo allora il nostro ruolo può concludersi qui. Le persone non hanno bisogno di una classe politica che sa solo lamentarsi delle ingiustizie, vogliono proposte serie, credibili, possibili, e le vogliono in tempi brevi. Vogliono almeno un progetto che possa riaccendere la speranza, anche se io credo che la speranza sia una trappola, è una cosa infame inventata da chi comanda, per dirla con le parole di Mario Monicelli. Ma viviamo tempi malati, un po’ di speranza, concediamoci almeno quella. Ma per infondere speranza ci vuole credibilità e noi non ce l’abbiamo.
Per formulare una proposta politica seria, bisogna avere ben chiaro quale sia il campo in cui si intende stare. L’ambiguità che ci ha contraddistinto non ha permesso altro che partorire posizioni generiche, buone per l’interpretazione di ognuno, non nell’interesse delle persone che ci pregiamo di voler rappresentare, ma per tenere buono un gruppo dirigente sempre più patetico ormai distante anni luce dal mondo reale. La stessa ambiguità che ha favorito il progressivo e inevitabile disimpegno di migliaia di compagni e compagne sui territori. Abbiamo distrutto un patrimonio inestimabile, fatto di impegno, intelligenza, dedizione. Gli sparuti compagni che ancora osano provare a fare politica nelle città nei paesi, tra la gente, sono allo sbando, abbandonati in un atmosfera che assomiglia molto l’8 settembre.
Il nostro campo è quello di chi si batte contro le politiche liberiste, di chi si mette di traverso alle politiche europee responsabili dello smisurato numero di poveri. Il nostro campo è opposto a tutti quei partiti che adottano quelle politiche, non solo economiche. In Italia e in Europa.
Cosmopolitica aveva l’ambizione di costruire la sinistra in Italia. A 5 mesi da quella assemblea costituente, non ci resta nulla se non un peggioramento delle relazioni interne. Cosmopolitica ha avuto il solo merito di creare qualche posto di lavoro grazie alla piattaforma Commo, uno strumento sicuramente più costoso che utile però. Le elezioni amministrative sono state degne del circo Barnum hanno rilevato il livello di ambiguità, di caos, e di disorganizzazione in cui versa questo progetto malnato.
È evidente che ci sono responsabilità in tutto questo. Che non si può più tacere. Che l’ambiguità deve finire.
C’è chi pensa invece di portare questa ambiguità al congresso costituente, e lì fare i conti. Non sono d’accordo! I nodi li sciogliamo prima, il congresso costituente di un partito non può diventare un terreno di scontro tra bande. È una cosa seria. A cosmopolitica si era deciso che il nuovo soggetto sarà alternativo, autonomo e non subalterno. Questo si è detto, non altro. Ma l’ambiguità che ci contraddistingue non ci permette nemmeno di stabilire e confermare questo intento basilare. Perché c’è chi ha altri progetti.
Il punto è proprio questo. C’è una parte minoritaria nel partito, ma forse maggioritaria tra il gruppo dirigente e parlamentare che quella autonomia non la vuole. Minoritaria perché basterebbe allungare l’orecchio per sentire tutto il malessere dei compagni/e dei territori. Maggioritaria, perché nel nostro partito a dettare legge sono i parlamentari, i quali invece, secondo il mio modesto parere, in un partito serio dovrebbero essere a servizio dello stesso e non al comando. A questi si aggiungono alcuni interessi localistici di pochi assessori, consiglieri, qualche sindaco, che cercano di marcare “le buone pratiche” senza considerare il panorama generale in cui si collocano.
A questi si aggiungono atteggiamenti spudorati. E’ evidente che ci sono altri dopo Gennaro Migliore e gli altri saltafossi fulminati sulla via renziana ad essere affascinati dall’idea di offrirsi come stampella “sinistra” al PD. Un nome lo voglio fare: Cecilia D’Elia la quale in barba alla posizione del gruppo dirigente nazionale di cui fa parte e del comitato elettorale romano , fregandosene che il consigliere eletto sta all’opposizione, si fa “assumere” dal PD nel II Municipio romano in qualità di assessore. Mi domando se sia stata espulsa Cecilia D’Elia dal coordinamento nazionale di SEL, se la risposta è negativa, in qualità di iscritto a SEL lo chiedo pubblicamente adesso.
Perché basta. Bisogna fermare questo gioco al massacro, stanare il gruppuscolo di guastatori e metterli nelle condizioni di scegliere il loro destino senza danneggiare quello dell’intero progetto. Bisogna smettere di usare metodi accondiscendenti. Dobbiamo prendere coscienza che l’idea di costruire un partito nuovo, grande, autonomo di sinistra è maggioranza nella nostra comunità, che bisogna difendere questa idea con i denti, senza timidezze consapevoli che uno vale uno.
È arrivato il tempo dunque per il gruppo dirigente pro-tempore e per tutti noi, di rompere l’ambiguità, di prendere posizione, di pensare alla comunità e non a interessi da retrobottega. Se non ci sarà questo salto di qualità, l’alternativa per quanto mi riguarda è abbandonare ogni speranza di cambiamento politico magari orientando l’impegno nelle realtà locali, sperimentando formule civiche, o dedicandosi al volontariato, naturalmente tutto strettamente a titolo personale, consapevole che non sarà un successo, ma che avrà almeno il pregio di preservare la dignità.