di LEONARDO MARZORATI –
I mass media nel 2019 si erano fiondati sul Mediterraneo, per raccontare il braccio di ferro tra l’allora ministro degli Interni Matteo Salvini e l’Unione Europea. La contesa verteva tutta su che fare dei migranti stipati sulle navi Sea-Watch 3 e Diciotti. Il nostro ministro, dopo aver fatto approvare dall’allora maggioranza giallo-verde con a capo Giuseppe Conte i Decreti Sicurezza, fu oltranzista nel non voler far sbarcare in Italia poche decine di migranti. Cinicamente, cercò di ricattare quella Ue che aveva mal sopportato l’alleanza di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle.
Giornali, tv e influencer parlarono per mesi quasi esclusivamente di Salvini. Il Paese si divise tra chi voleva i porti chiusi e chi i porti aperti. L’antisalvinismo dei giornaloni e dei principali talk show, come già era stato per l’antiberlusconismo, accentrò la narrazione politica tutta sul ministro dell’Interno, facendo propaganda indiretta per la Lega, che infatti alle elezioni europee arrivò al 34%. Demonizzare un politico, da parte dei canali mainstream, equivale a supportarlo e a far confluire tutte le voci distanti dalla visione propagandata verso il “nemico comune”. Siccome fatico a credere nell’ingenuità di certe penne, temo che Repubblica e soci abbiano favorito l’ascesa politica del “felpetta”.
Salvini demonizzava, spalleggiato anche da alcuni pentastellati, Emergency e il mondo delle Ong. Contribuiva, come già altri avevano fatto in precedenza, a impoverire la discussione politica nel Paese. E in questo trovava un ottimo alleato nei media vicini all’allora opposizione. Sui giornali e sui social era solo un “Salvini sì – Salvini no”, un “razzista” contrapposto a un “buonista”.
I 41 migranti della Diciotti e i 53 della SeaWatch 3 riuscirono a toccare la terraferma dopo giorni passati in mare aperto sulle navi. Rifocillati e curati dai medici, furono le vittime sacrificali di un ministro che sfruttò un dramma per rafforzare il suo consenso e di un’Unione Europea che si rifiutò di imporre fin dal principio una spartizione tra Stati, onde “darla vinta” a Salvini. Stati divisi (o meglio, uniti nel dire di no ai migranti), alla faccia della retorica europeista, e una Ue non in grado di gestire poche decine di disperati: in questo contesto il germe leghista e quello nazionalista si rafforzarono.
Oggi nel nostro Continente ci sono diverse migliaia di disperati che fuggono principalmente da Medio Oriente, Afghanistan, Pakistan e che chiedono di entrare nell’Unione Europea. Sono stipati poco prima dei confini contraddistinti dalle bandiere blu con le 12 stelle. Nei Balcani, lungo il confine tra Bosnia-Erzegovina, Serbia e Croazia, ci sono accampamenti improvvisati. Nel freddo inverno balcanico alcuni di loro provano a varcare il confine croato, ma vengono respinti brutalmente dalla polizia di Zagabria. Non mirano alla Croazia, ma a Paesi molto più a nord. Il paese slavo è solo un passaggio, ma questo non basta per smuovere il pugno di ferro voluto dal governo di Andrej Plenkovic, leader dell’Unione Democratica Croata, partito di centrodestra parte integrante del PPE (quello di Angela Merkel e Ursula von der Leyen). La Ue qui non fa braccio di ferro: se il cattivo non è un “sovranista” come Salvini, ma un moderato europeista (almeno in apparenza) come Plenkovic, ben vengano le manganellate ai migranti (violenze che il leader leghista non osò ordinare).
A causa del Covid i flussi sono rallentati, ma la rotta balcanica è ancora battuta. Il campo di Lipa, in Bosnia, ospita quasi mille migranti. Quasi nessun tg o giornale ne parla. Nemmeno la visita di quattro eurodeputati del Pd è servita a qualcosa. La visita alla SeaWatch di Graziano Delrio, Nicola Fratoianni e Matteo Orfini servì soprattutto alla propaganda delle destre. La presenza a Lipa di Pietro Bartolo, Brando Benifei, Pierfrancesco Majorino e Alessandra Moretti (finalmente uscita dal ruolo di “ladylike” piddina) non ha smosso le acque. I giornalisti della stessa area politica non hanno ritenuto importante la loro missione. Il motivo è ovvio: qui non c’è il cattivo leghista da attaccare, ma il governo democratico di uno dei tanto coccolati Paesi dell’Est Europa.
Il dubbio che la tanta attenzione ai migranti della Diciotti e della SeaWatch 3 fosse solo funzionale allo scontro con Salvini, sorge. Ed è quasi una certezza. Perché vigliaccamente, Repubblica, L’Espresso e perfino Il Manifesto, danno poco spazio alla vicenda. Giornalisti televisivi e influencer liberal idem. Tutti zitti, nonostante le percosse e i furti perpetuati dai militari croati verso i migranti asiatici.
I temi sono tanti: le reali politiche di accoglienza, l’intolleranza presente in tutto il continente (con picchi nei Paesi orientali), le relazioni internazionali evidenziate solo quando hanno importanti ricadute sulla politica nazionale. Questi migranti sono in Europa (Bosnia e Serbia) ma non nell’Unione Europea (Croazia). Questo perché la Ue non li vuole e li tiene nelle tende di Lipa al freddo. Chiudendo un occhio sulle violenze della polizia di Plenkovic.
Salvini fece molto di meno e con la complicità implicita della Ue. Per questo fu bollato da molti analisti italiani come un paranazista. Ora la Ue lascia fare ben di peggio. La Commissione von der Leyen non vuole inimicarsi i Paesi dell’Est, le cui democrazie hanno lacune ben più gravi rispetto a quelle dei fratelli dell’Ovest. La Polonia di Kaczynski, l’Ungheria di Orban e ora la Croazia di Plenkovic, non danno prova di rispettare i “valori europei”. Nonostante le vagonate di aiuti economici ricevuti dagli altri Stati.
Almeno Stalin inveì contro i fascisti greci, pur non facendo nulla di concreto a difesa dei comunisti ellenici. Le potenze occidentali puntarono i fari, ma non le armi, su Budapest invasa dai carri armati sovietici. Oggi la Ue si gira dall’altra parte, facendo finta di niente. Le vite si salvano, in mare come sulle montagne innevate. Poi scattano la realpolitik e i rimpatri. Un’organizzazione democratica dovrebbe agire così. La Ue non lo fa. L’Unione Europea è peggio di Salvini.